martedì 22 febbraio 2011

Gheddafi e l'ipocrisia della sinistra. Bernardino Ferrero

Lascia un po' sgomenti lo sconcerto del Pd davanti al silenzio (“preoccupato”) del premier Berlusconi sulla crisi libica. Sabato scorso, il Cavaliere ha sterilizzato la rivolta di Bengasi con un laconico “non voglio disturbare” e Veltroni e Fassino hanno subito reagito stigmatizzando il rapporto speciale fra il Cavaliere e il Colonnello. Ma il trattato di amicizia fra Italia e Libia non è un’invenzione del centrodestra e la politica estera dell’Italia verso i paesi del Nordafrica è stata tradizionalmente orientata verso una piena legittimazione dei regimi illiberali che garantivano l’ordine in Egitto e Tunisia.
La nostra disponibilità diplomatica verso Tripoli affonda le sue radici nel governo Prodi – ministro degli esteri D’Alema – e prima ancora in Lamberto Dini, che ne gettò le basi alla fine degli anni Novanta. Giuliano Amato era convinto che si dovesse coinvolgere Tripoli nella sicurezza nel Mediterraneo così come era stato fatto con Tirana per l'Adriatico. Un misto di cattiva coscienza sulle colpe del nostro passato coloniale, di paura delle nuove ondate migratorie, di interessi economici cogenti, hanno spinto la nostra classe dirigente a tollerare chi reprime il dissenso con la violenza e la censura. Diciamolo, la promozione della democrazia in questi Paesi non è mai stata all’ordine del giorno. Ora il ministro degli esteri Frattini parla di un “Piano Marshall” per il Mediterraneo, ma prima degli aiuti economici, degli accordi e dei salvataggi in extremis, in Nordafrica va fatto germogliare il seme della democrazia. Il realismo non ci aiuterà a favorire chi contesta un regime vecchio quarant’anni. Egiziani e tunisini se la sono dovuta sbrigare da soli.
In Italia Gheddafi ha avuto campo libero, riverito dagli accademici della Sapienza neanche fosse il John Kennedy africano, corteggiato da quelle giovani italiane disposte a islamizzarsi pur di avere un suo autografo e una piccola mancia. Adesso che il Colonnello spara sui manifestanti, il capitale di fiducia che gli avevamo concesso si rovescia sull’Italia, complice la stampa internazionale, in particolare quella anglosassone. Peccato che anche Tony Blair abbia stretto vigorosamente la mano al Colonnello, e uno dei suoi ministri, Jack Straw, lo abbia definito "uno statista". Il governo Cameron sembra aver preso un direzione diversa: condanna ferma e senza mediazioni delle violenze contro chi protesta pacificamente.
La sinistra italiana piange lacrime di coccodrillo. In una intervista al Sole 24ore, D’Alema chiede a Gheddafi di fermare la repressione e indire nuove elezioni, ma spera in una “evoluzione positiva che incoraggi il Colonnello sulla strada delle riforme”. In realtà Gheddafi serve a preservare gli interessi economici dell'Italia. ENI fa affidamento sui paesi del Nordafrica per il 35% delle sue produzioni petrolifere ma ci sono anche altre grandi aziende e piccoli imprenditori che fanno affari nel Mediterraneo, dalle materie prime al turismo. Per il governo Prodi il trattato italo-libico fu il passpartout necessario ad entrare nella tenda del Colonnello con i supermanager del “cane a sei zampe”. Nei giorni scorsi, ENI ha ceduto a Gazprom una parte consistente di alcuni suoi assetti nella produzione del greggio libico: “Medvedev ha bisogno di Berlusconi per l’energia”, titola Bloomberg.
Le rivolte del Maghreb hanno preso di sorpresa il governo italiano, l’Europa e gli Usa. Berlusconi non avrebbe potuto permettersi di stabilire una relazione privilegiata con Gheddafi se il Colonnello non fosse stato riabilitato a Washington, dopo essere finito nella lista degli sponsor del terrorismo. La violentissima repressione degli ultimi giorni in Libia cambia di nuovo le carte in tavola: in Egitto, che ha una popolazione immensamente più grande di quella libica, durante un mese di proteste si sono contate 300 vittime; a Bengasi e nelle altre città in rivolta, nel giro di qualche giorno siamo arrivati alla stessa cifra. Obama esprime “grande preoccupazione” per quello che sta accadendo e chiede che vengano puniti i responsabili delle violenze.
Una volta Berlusconi ha detto che gli stretti rapporti diplomatici fra Italia e Libia hanno sempre riguardato “più petrolio e meno immigrazione”. Sul petrolio, non è detto che un governo diverso dall’attuale sarebbe più sconveniente per l'Eni e i nostri investitori. Sull’immigrazione, i dubbi sull’affidabilità di Gheddafi come partner sono tanti, troppi. Gli abbiamo fornito jeep, motovedette e tecnologie per contenere la pressione migratoria ma gli sbarchi sono ripresi ancora una volta. La settimana scorsa alcune voci incontrollate provenienti dai servizi italiani, poi smentite, raccontavano di carrette del mare spinte dal regime libico verso le nostre coste con scientifico tempismo. C’è una terza incognita. La democrazia. Invece di preoccuparci solo dei profughi che arriveranno in Italia (Tripoli non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui rifugiati), cominciamo a pensare come sarà la Libia senza Gheddafi. (l'Occidentale)

1 commento:

Marco Sadun ha detto...

Non e' polemica.
Ho letto il tuo messaggio, e poi mi sono chiesto in effetti questo trattato da dove saltasse fuori.
Un colpo di Google e questo e' il risultato:
http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/schedela/apritelecomando_wai.asp?codice=16pdl0017390

Io dico che e' un po' troppo facile "vatarsi" di un accordo politico estero, e poi dopo tirare indietro la mano quando le cose vanno "male".
Non mi risulta che il centro destra, ovvero le persone che compaiono in questo documento ufficiale, abbiano dimostrato del rimorso per questo trattato. E' credo che sia politicamente comprensibile.

Quindi perche' dare la colpa alla sinistra? C'e' un documento con dei nomi, del centro destra. Nel momento che il trattato e' siglato e' firmato, non si ha "diritto" solo ai vantaggi, ma anche alle colpe.

Saluti