venerdì 17 agosto 2012

Via con il Windjet. Davide Giacalone

I contribuenti italiani hanno a lungo sovvenzionato Alitalia, provocando la rovina propria e non evitando quella della compagnia di bandiera. Forse non sanno di avere sovvenzionato anche Windjet, che non solo è crollata, ma ha lasciato con il sedere per terra tanti passeggeri, che ancora bivaccano in attesa di un volo che restituisca loro quel che hanno già pagato. Non solo sono esempi di come gettare al vento i soldi pubblici, ma anche di come non si fa la promozione né dell’Italia, né del turismo.

Apprendo dalle parole di Roberto Balzani, sindaco di Forlì (ottimo esempio di politico serio, eletto dalla sinistra, e autore di un prezioso libro sulle delusioni e i problemi della sindacatura ancora in corso), che quando arrivò a ricoprire quella carica scoprì che il suo comune versava sei milioni di euro all’anno, pur di avere i voli Windjet nell’aeroporto municipale. Quei sei milioni gravavano sulle casse comunali, a loro volta alimentate dai tributi dei cittadini e dal prezzo da essi pagato per altri servizi comunali, sicché ci si deve andare piano prima di parlare di low cost, dato che al costo del biglietto si deve aggiungere quello indiretto, e per niente basso. Lo scopo della sovvenzione era di collegare Forlì con il mondo, portando colà i turisti e portando altrove i forlivesi. Balzani voleva rinegoziare quell’accordo, finendo con il farselo sfuggire (e fu criticato), visto che il comune di Rimini, dotato dell’aeroporto Federico Fellini, aveva offerto, a Windjet, una somma ancora superiore. Chissà se si presentarono fellinianamente, con una popputa rappresentante capace di pronunciare un impareggiabile “gradisca”.
Prima osservazione: per andare da Forli a Rimini, e viceversa, s’impiega meno che per andare dal centro di Roma a Fiumicino, per non parlare di Malpensa, due aeroporti così vicini incarnano la dissennatezza. Seconda osservazione: la spesa pubblica per incentivare il turismo va anche bene, purché sia quello in arrivo e non quello in partenza, perché il secondo va ad arricchire le zone di destinazione e, quindi, i finanziamenti si traducono in un contributo a gitanti e compagnie aeree, che non si vede proprio perché i contribuenti dovrebbero sobbarcarsi. Come si fa, allora, a spingere il turismo senza cadere nell’errore di farlo con quello che scappa, anziché con quello che accorre? Semplice: non si pagano i voli, ma si rendono migliori le destinazioni. Un esempio: molte zone d’Italia, specie quelle gettonate per l’estate, hanno una copertura internet che fa schifo, una municipalità che voglia rendersi utile non solo assicura la copertura e la diffusione di wifi, ma provvede a rendere digitali tutte le informazioni disponibili, a mappare i percorsi, ad offrire una vetrina, interattiva e funzionante, ad alberghi, ristoranti, locali di svago e così via. Con sei milioni si fanno miracoli, mentre se li si consegna a Windjet li si fa sparire. Che è un trucco, non un miracolo.
Se un aeroporto non è frequentato da voli, se in una località non arrivano turisti, o non ne arrivano quanti potrebbero essere, la soluzione non è nel sovvenzionare i biglietti, ma nel rendere appetibile il soggiorno in quel luogo. Gli enti locali che pagano le compagnie (falsamente) low cost non promuovono l’economia, ma la corrompono, la falsano, s’illudono e, infine, falliscono. Come è puntualmente accaduto alla Seaf, società che gestisce l’aeroporto di Forlì.
L’Italia e zuppa di posti meravigliosi, di mete ambite dal turismo colto e ricco come da quello ridanciano e risparmioso. E’ seduta su uno scrigno cui, però, non attinge a sufficienza, perché la gran parte di questi posti sono sconosciuti agli italiani stessi (il castello di Caccuri, in Calabria, recente sede di un originale e interessante premio letterario, è sconosciuto ai calabresi, figuriamoci ai finlandesi). E il settore turistico è il classico esempio di quel che serve all’Italia: tagliare, alla grande, la spesa inutile; digitalizzare i tesori e renderli accessibili; mettere in rete i servizi; liberare l’iniziativa e la fantasia dei privati. L’Italia che corre è capace anche di volare, se solo si abbattono i predatori della spesa pubblica.

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