mercoledì 29 agosto 2012

Ingroia, la procura, la trattativa e le intercettazioni. La storia fin qui

 

Nel Foglio di oggi il direttore Giuliano Ferrara ha risposto a una lettera di Paolo Cirino Pomicino che dice: "Sembra di essere tornati ai tempi dei guelfi e ghibellini. Un’indagine della procura di Palermo che casualmente ha intercettato il presidente della Repubblica in una conversazione con il senatore Nicola Mancino senza che ne disponesse immediatamente la distruzione del nastro in base a un’interpretazione ardita sulle prerogative presidenziali, ha innescato uno scontro furibondo tra una stragrande maggioranza guelfa e una minoranza ghibellina". Per Pomicino il motivo del contendere, "al di là della registrazione definita dalla stessa procura di Palermo irrilevante ai fini penali, è l’iniziativa assunta dal Quirinale con il suo ricorso alla Corte costituzionale per un possibile conflitto di attribuzione tra la magistratura inquirente e le prerogative del presidente della Repubblica". Una questione che in pochi giorni ha diviso l’opinione pubblica, ma che secondo Pomicino "ha oscurato del tutto il drammatico interrogativo se la trattativa tra stato e mafia c’è stata davvero". L'Elefantino risponde: "Se per trattativa si intende scambio di guerra e in guerra, strategia per vincere la battaglia contro la criminalità organizzata, lo stato non ha fatto altro che trattare, e i trattativisti sono Scalfaro, Ciampi, ministri, premier e legislatori di tutti i partiti responsabili, capi della polizia e dei servizi e dei carabinieri, magistrati eroici come Falcone dall’operazione Buscetta al governo del ministero della Giustizia nell’esecutivo Andreotti"  [continua a leggere la lettera di Paolo Cirino Pomicino e la replica del direttore]
Ma la trattativa stato mafia e le intercettazioni a Napolitano hanno riguardato anche e soprattutto la politica. E dalla politica, così come dalle testate dei principali quotidiani nazionali, sono arrivate subito le prime reazioni. Il fondatore di Rep., Eugenio Scalfari, fu uno dei primi a emanare una sentenza sugli ascolti al capo dello stato: "Qui si tenta di indebolire il Quirinale per creare una situazione di marasma al vertice delle istituzioni dalla quale deriverebbe inevitabilmente la caduta del governo Monti”, diceva in un intervento a RSera. Sentenza che, come scriveva Salvatore Merlo dalle colonne del Foglio, poteva essere l’epigrafe di un film nerissimo, un prodotto della fantasia più violenta di John Carpenter, “assalto al distretto 13” come “Giugno 2012 attacco al Quirinale” [continua a leggere il "romanzo breve di un golpe estivo"].
Il procuratore di Palermo, Antonio Ingroia, ha giocato un ruolo chiave nell'inchiesta sulla trattativa. Sembra essere lui la matrice di tutto: "A quale società risponde l’inchiesta di Antonio Ingroia, procuratore aggiunto di Palermo, sulla cosiddetta trattativa tra mafia e stato; o, meglio, tra alcuni boss agli ordini del sanguinario Totò Riina, capo dei corleonesi, e alcuni uomini delle istituzioni, primo fra tutti quel generale Mario Mori, che un anno dopo, siamo nel 1993, ebbe la straordinaria benemerenza di arrestare proprio Riina?" [continua a leggere Ingroia, la trattativa, la cultura del sospetto e quell’inchiesta senza futuro].
Ieri il deputato Alfredo Mantovano, uomo politico ed ex magistrato, in un articolo sul Foglio ha sollevato forti dubbi sulla condotta del procuratore di Palermo ponendo l'accento su un elemento: "Nel procedimento penale sulla trattativa stato mafia, c’è almeno un aspetto che non è stato sottolineato a sufficienza: ed è il fatto che il dottor Antonio Ingroia, il pm che più di altri ha condotto le indagini, per sua scelta non seguirà nel dibattimento lo sviluppo delle indagini che ha svolto. Per sua scelta, senza ombra di dubbio; per un magistrato l’inamovibilità è una garanzia costituzionale e lo spostamento ad altre funzioni – nel suo caso, addirittura, il collocamento fuori ruolo – può avvenire solo per propria iniziativa". Appare insolito, a un ex uomo di legge come Mantovano, che un pubblico ministero, che normalmente, svolta un'indagine "aspira più di ogni altra cosa a seguirne l’esito in dibattimento" abbia deciso di abbandonare in fretta e furia l'Italia per andare a ricoprire un incarico in una "simpatica nazione del centro America" [leggi Ingroia disertore. J’accuse di Alfredo Mantovano].
Per Guido Vitiello, che nel suo articolo sul Foglio cita anche Leonardo Sciascia, il magistrato siciliano appartiene a una categoria integralista e religiosa come quella degli ulema. Dipenderà da questo temperamento la scelta del trasferimento immediato in terre lontane?[continua a leggere Antropologia letteraria e giuridica del magistrato].

Ma oggi l'ulema Ingroia fa le valigie, e se ne va via lontano. In Guatemala. Una scelta radicale per il pm più famoso d'Italia. Ma com’è il Guatemala che Antonio Ingroia va a trovare? E come c’è finito il procuratore aggiunto di Palermo? Secondo lui, è che “lì in Guatemala li apprezzano i giudici antimafia italiani" [leggi Il Guatemala di Ingroia di Maurizio Stefanini]
Sul tema della presunta trattativa stato mafia Pomicino ebbe modo di scrivere un'analisi in cui elencava punto per punto, documentatamente e cronologicamente, i fatti che stavano alla base dell'inchiesta dei procuratori di Palermo, tra cui il pm Antonio Ingroia:"Diciamo subito che, per i dati che qui di seguito riportiamo, la trattativa stato mafia, o, per meglio dire, tra una parte dello stato e la mafia, c’è stata ed è avvenuta nel 1993, l’anno, cioè, in cui vennero messe le bombe a Roma, Firenze, Milano" [leggi tutto l'articolo di Paolo Cirino Pomicino].
Una visione altrettanto dettagliata della verità storica, ovvero degli avvenimenti che hanno portato la trattativa al centro dei dibattiti, l'aveva data al Foglio anche il Radicale Massimo Bordin in occasione del rinvio a giudizio dei 12 indagati. Sullo stesso banco degli imputati, mafiosi e alte personalità dello stato. La versione di Bordin si concentrava sugli albori dell'inchiesta del procuratore Ingroia e sulle ragioni del coinvolgimento di Giovanni Conso e Nicola Mancino, questi sì, più vicini al presidente Napolitano, "vittime" di un "effetto valanga" innescato dall'apertura delle indagini sul colonnello Mori [leggi l'intervista a Massimo Bordin]. (il Foglio)

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