venerdì 17 gennaio 2014

Grazia e ingiustizia. Davide Giacalone



E’ giusto che il presidente della Repubblica conceda la grazia a un detenuto, perché bisognoso di cure? Tema doloroso e difficile, dilemma innanzi al quale si spera sempre di non trovarsi. Ragione in più per essere netti: no, non è giusto.

Un detenuto, in gravi condizioni di salute, s’è rivolto a Giorgio Napolitano, chiedendo di poter accedere all’eutanasia, di potere morire. Richiesta ovviamente non esaudibile. Né che sia praticata in carcere, né che possa suicidarsi (con assistenza) una volta libero. Il tema di questo articolo non è l’eutanasia, ma è escluso che un provvedimento del Quirinale possa disporre quel che è illecito. Quel detenuto (non ne farò il nome, noto a chiunque voglia saperlo, perché qui interessa la giustizia, non quel caso particolare), però aveva già incontrato Napolitano, quando s’era recato in visita al carcere napoletano. Già gli aveva chiesto aiuto. Inoltre era stata inoltrata domanda di grazia, sempre basata sulla salute. Ragion per cui, una volta divenuta nota la supplica di suicidio, il Quirinale ha ufficialmente dichiarato che: a. ha sollecitato il ministero della giustizia, affinché l’istruttoria sia celere (segno che intende concederla); b. che la direzione del carcere è stata sensibilizzata affinché, nel frattempo, sia assicurata la massima assistenza sanitaria. Trovo che sia un cumulo di errori.

Il reato per cui il detenuto si trova in carcere è omicidio. Fosse anche di altra natura, una volta terminato il processo, la certezza del diritto impone la certezza della pena. Se la salute di un detenuto diventa incompatibile con la pena questa deve essere sospesa. E, naturalmente, finché la detenzione continua l’assistenza sanitaria deve essere assicurata. Si tratta di cittadini la cui vita è nelle mani dello Stato. Per essere punita, certo, ma non per essere tolta, minacciata, messa a rischio o anche solo umiliata. E questo deve valere per tutti, sempre. Quindi quel detenuto, ove siano reali le condizioni che descrive, dovrebbe trovarsi fuori, o in un centro medico, senza che la presidenza della Repubblica debba minimamente intervenire. Se, invece, le cose non funzionano come dovrebbero, e pare proprio che non funzionino, allora non si tratta di sensibilizzare le autorità competenti su un singolo caso, ma di licenziarle e sostituirle con chi assolva meno approssimativamente ai propri doveri.

Se solo dopo l’intervento il comunicato quirinalizio, come è accaduto, viene disposto il trasferimento in ospedale ciò non è da prendersi come un caso di bontà coronata da successo, ma d’incoscienza e insensibilità solo per fortuna non accompagnata dal decesso. E se il giudice ha ritenuto, come è accaduto, di non disporre la scarcerazione è segno che o sbaglia, e deve esserne responsabile, o ritiene che il ricovero sia sufficiente, il che toglie ulteriormente opportunità all’avere accelerato il procedimento di grazia.

Intervenire assicurando la grazia, dopo una lettera in cui si chiede il suicidio è un tragico errore, tenuto anche conto che l’autolesionismo è già fin troppo presente nella vita carceraria. Premiare l’annuncio di un gesto estremo è l’esatto contrario di quel che serve per tutelare la salute e la dignità dei detenuti. Di tutti i detenuti.

La situazione delle carceri italiane è d’intollerabile illegalità. Se anche non avessimo occhi per accorgercene da soli (ma quante volte lo abbiamo scritto e denunciato!?), c’è l’infamante collezione delle sentenze di condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per ricordarsene. Sta di fatto, però, che in sede politica restano circondate dal silenzio le tenaci battaglie dei radicali italiani, e in sede istituzionale è caduto nel vuoto il messaggio alla Camere inviato dal Colle. La ragione di tale fuga politica, di tanta viltà, è una: i partiti si rendono conto che non è presentabile il susseguirsi delle clemenze verso i criminali, nel mentre non si riesce ad assicurare giustizia ai cittadini, né hanno forza e coraggio per operare la riforma della giustizia, come tutti sanno si dovrebbe fare, ma come una congrega di codardi non riesce a fare perché bloccata da veti corporativi e propri timori personali. E guardate che il problema non è affatto solo il sovraffollamento, rispetto al quale basterebbe osservare che un numero impressionante di detenuti non sta scontando una pena, perché non ha sul capo una condanna. L’abuso di carcerazione preventiva è devastante per la civiltà, per il diritto e per il carcere.

Pensare di porre rimedio alla vergogna delle galere senza porre rimedio alla vergogna della malagiustizia è illusorio. Pensare di salvarsi la coscienza intervenendo per i casi che i mass media si preoccupano di descrivere come pietosi è non solo ipocrita, ma anche pericoloso. Quel detenuto ha diritto al rispetto della legge, e tutti i detenuti hanno diritto a essere considerati con pari attenzione. Se non si ha il coraggio di provvedere si abbia almeno il pudore di tacere.

Pubblicato da Libero


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