venerdì 30 ottobre 2009

La Dolce Vita della Mafia. Lino Jannuzzi

Come Anita Ekberg e Marcello Mastroianni nel film di Federico Fellini, due dei più feroci assassini di Casa Nostra stanno seduti a un tavolino del bar Doney in via Veneto a Roma e brindano a champagne. Gaspare Spatuzza e Giuseppe Graviano stanno preparando la strage dello Stadio Olimpico, dove devono far saltare in aria un centinaio di carabinieri, ma intanto festeggiano l’accordo che Cosa Nostra ha firmato con lo Stato, rappresentato da Silvio Berlusconi,”quello di Canale 5”, tramite Marcello Dell’Utri, il “compaesano” salito a Milano da Palermo e il vero fondatore di “Forza Italia”. Questa è l’ultima “rivelazione” raccolta dai magistrati della procura di Palermo dalla viva voce di Gaspare Spatuzza e propalata all’Italia e al mondo dai servizievoli cronisti dell’”Espresso” e del “Fatto quotidiano”. Non è stato facile arrivare “all’anticamera della verità”, come ha proclamato il pm Antonio Ingroia, c’è voluto più di un anno.

Un anno di estenuante “trattativa” tra i professionisti dell’antimafia e il killer di don Pino Puglisi, Gaspare Spatuzza, detto “’o tignusu”, che è anche uno degli assassini di Paolo Borsellino, ma questo Ingroia e i suoi colleghi non lo sapevano. E’ stato lui che, diciassette anni dopo la strage di via D’Amelio, si è “pentito” e glielo ha raccontato: sono stato io che ho portato in via D’Amelio l’auto con il tritolo che ha fatto saltare in aria Borsellino e gli agenti della scorta. E l’ha dimostrato, facendo saltare in aria, a sua volta, diciassette anni di indagini e di processi e di condanne, basate tutte sulla “confessione” estorta a Vincenzo Scarantino, falso mafioso e falso “pentito”, meccanico semianalfabeta, scartato al servizio militare perché schizofrenico, e anche tossicodipendente e fidanzato con una transessuale.

A quel punto, ci si sarebbe aspettato la revisione dei processi sbagliati e sballati sulla strage di via D’Amelio e la liberazione dal carcere degli ergastolani innocenti e l’individuazione e la punizione di quanti, poliziotti e magistrati inquirenti, hanno depistato e inquinato le indagini sull’assassinio di Paolo Borsellino, costruendo falsi “pentiti” e portando avanti per anni falsi processi fino a false condanne. E che avessero riaperto seriamente le indagini sulla strage di via D’Amelio, facendosi dire da Spatuzza chi erano stati i suoi complici, dove aveva preso il tritolo e chi aveva premuto il pulsante per far saltare in aria Borsellino. E invece è iniziato a Palermo, e non solo a Palermo, un altro e più clamoroso depistaggio, a base di falsi “papelli” e false “trattative” tra lo Stato e la Mafia, mentre in realtà si svolgeva una vera trattativa, quella tra i magistrati e l’assassino di Borsellino. Che si è conclusa con questa brillante trovata, il trasferimento del “tignusu”dal rione Brancaccio di Palermo a via Veneto a Roma per brindare a champagne con il suo capocosca Giuseppe Graviano e festeggiare il “patto”siglato con lo Stato:”Abbiamo chiuso tutto - avrebbe raccontato Graviano, ormai ubriaco, a Spatuzza tra una coppa di champagne e l’altra - abbiamo chiuso la trattativa. Il Paese è in mano nostra”.

E tanto sono ubriachi e contenti, Giuseppe Gravano è “felicissimo”, dice Spatuzza, che sbagliano a sistemare l’ordigno che doveva esplodere allo Stadio Olimpico, e va in fumo l’ultima strage. Purtroppo, in quel gennaio del 1994, mentre Spatuzza e Graviano brindavano a champagne da Doney a via Veneto, Silvio Berlusconi non aveva ancora vinto le elezioni e non era ancora diventato il Capo del governo della Repubblica e non aveva potuto ancora concedere a Cosa Nostra la revisione dei processi e delle condanne dei boss e la soppressione del carcere duro previsto dall’articolo 41bis e tutte le altre richieste elencate nel “papello”.

Per il momento Cosa Nostra si è dovuta accontentare, in cambio della cessazione delle stragi, dell’assunzione in prova, e solo in prova, nella squadra di calcio dei pulcini del Milan di un picciotto nipote di un amico dei Graviano. Per il momento, meglio che niente. La vera fregatura per Cosa Nostra è venuta dopo. Non solo il picciotto, che pure sarebbe diventato un bravissimo calciatore, fu cacciato dal Milan, ma Silvio Berlusconi, che ha vinto le elezioni per ben tre volte e per tre volte ha regnato, per quindici anni non ha rispettato i patti, anzi ha reso perpetuo ed eterno il carcere duro dell’articolo 41 bis, ha moltiplicato i processi e le condanne, ha arrestato i latitanti e gli ha sequestrato i piccioli tanto faticosamente guadagnati. Per quindici anni i boss non hanno più potuto brindare a champagne a via Veneto. Addio Dolce Vita. (il Velino)

1 commento:

laura ha detto...

Complimenti per l'articolo Lino
Di pari intensità la mia personale indignazione su come sono state trattate e vengono trattate tutt'oggi la ricerca della verità su terribili fatti di sangue pensati per (de)stabilizzare uno Stato che scende a patti col nemico.

A questo proposito mi permetto di sergalarTi un post pubblicato proprio qualche giorno fa insieme ad un'amica, ma pensato per 17 anni di sofferenza e consapevolezza di essere presi per i fondelli.

lo puoi trovare QUI

Un caro saluto, laura