domenica 11 ottobre 2009

L'autogol del Colle. Dimitri Buffa

A volere essere cattivi si può tranquillamente dire che stavolta “l’attacco eversivo”, per usare le parole retorico -indignate del capogruppo al Senato del Pd Anna Finocchiaro, ex magistrata, Napolitano se l’è fatto da solo. Leggendo infatti le cronache del “day after” del no della consulta al Lodo Alfano si evince, anzi si può esserne certi, che non solo il Capo dello Stato aveva dato ampie rassicurazioni al premier sulla possibilità che la legge reggesse il vaglio costituzionale dopo avere sondato gli umori di qualcuno degli inquilini della Consulta, ma anche che avesse fatto quella famigerata opera di “moral suasion” che secondo correnti di pensiero legalitarie e radicali come quella di Marco Pannella, costituirebbe la vera “peste italiana”. Quel brutto vizio insomma per cui le leggi, anche quelle da dichiarare o meno costituzionali, si interpretano ad usum delphini a seconda dei casi e non si ermeneutizzano alla lettera punto e basta. E’ una vexata quaestio: che iniziò con un referendum del 1977 quello sul Concordato tra Stato e Chiesa cattolica, ma non con il Vaticano, e che invece fu assimilato a una legge di ratifica di trattati internazionali che c’entrava come i cavoli a merenda. Poi due anni dopo ci fu una sentenza che negava la perequazione delle pensioni di annata sempre ergendo a principio costituzionale le esigenze di bilancio dello stato che invece sono un “accidente”. Tendenz poi ribadita da due sentenze del 1993. Poi si disse “no” al referendum sul sostituto d’imposta facendo rientrare il modo di riscuotere le tasse tra le leggi economiche e di bilancio che non possono essere sottoposte a referendum. E si potrebbe continuare all’infinito senza dimenticare le interferenze di Oscar Luigi Scalfaro per fare dichiarare inammissibile, addirittura capovolgendo il verdetto nel pieno della Camera di consiglio (come avrebbe poi raccontato l’allora presidente della Consulta e in seguito della Rai, Antonio Baldassarre, con le solite modalità del lanciare il sasso e nascondere la mano che costarono il posto al direttore e al vicedirettore del “Tempo” dell’epoca, ossia Maurizio Belpietro e Andrea Pucci, che raccontarono la cosa e poi vennero sconfessati dallo stesso presidente della Consulta), il referendum del 1997 che voleva smilitarizzare la Guardia di Finanza.

Insomma le pressioni sulla Consulta, le “moral suasion”, anche e soprattutto da parte della massima carica dello Stato, quando ci sono questioni che premono al potere, si sprecano. L’unica differenza è che quando vengono fatte per favorire un esecutivo poco gradito come quello del Cav o vanno a vuoto o evidentemente vengono fatte in maniera poco convinta oppure con quella ammiccante categoria dello spirito del “io te lo dico ma tu non tenerne conto”. Vista sotto questo profilo la minaccia di Berlusconi, riportata dai giornali di ieri, di rendere pubbliche le rassicurazioni e le confidenze di Napolitano a proposito della “moral suasion” effettuata su membri della corte per fare dichiarare costituzionale il Lodo Alfano non va vista come una minaccia o un ricatto ,ma semplicemente come lo sfogo di un politico che si vede buggerare per l’ennesima volta dalla massima carica dello Stato. Che promette cose che non può mantenere. Non in linea di principio generale, ma solo perché riguardano lui. Una “non moral suasion ad personam” in pratica, e forse il Presidente della Repubblica in buona fede sperava di salvare capra e cavoli. Magari con una sentenza salomonica che invece poi non è arrivata. Ciò detto però, adesso non ci si può nascondere dietro il dito dell’ipocrisia e gridare al “golpe” perché Berlusconi o chi per lui dice che la Consulta è fatta per lo più da uomini della sinistra messi lì dagli ultimi tre presidenti. Se in quel palazzo gli ex capi di Stato come Scalfaro sono stati capaci di mettere una persona che nemmeno ne aveva i titoli come Fernanda Contri, e quelli come Ciampi, già a capo di un governo di centro sinistra, di porci un mediocre ministro di Giustizia del primo governo Prodi come Giovanni Maria Flick, autore di una riforma, quella del giudice unico penale e civile, che ha creato i danni dell’attuale sistema giudiziario, e se lo stesso Napolitano stava per farci andare, peraltro con l’incosciente accordo di buona parte del Pdl e senza particolare meriti da costituzionalista, un personaggio come Luciano Violante, non ci si venga a dire che quel consesso che siede a palazzo della Consulta è al di sopra di ogni sospetto in materia di complotti e dintorni. “Ci si facci il piacere” come diceva Totò. Perché questa “peste italiana” fatta di istituzioni che si piegano alle esigenze delle ragioni non tanto di Stato, ma piuttosto partitocratiche, ha giustamente meritato alla Corte in questione i due soprannomi che nel tempo gli diedero uomini come il grande giurista e costituzionalista Giuseppe Maranini, già nel 1957, o come Marco Pannella, molto più recentemente: e cioè, rispettivamente, “Corte Prostituzionale” o, a scelta, “massima cupola della mafia partitocratica”. (l'Opinione)

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