domenica 11 ottobre 2009

Le verità nascoste da "Anno zero". Lino Jannuzzi

“Verità nascoste”: è questo il titolo della trasmissione “Anno Zero” di Michele Santoro di giovedì sera. E mai titolo fu più appropriato. Ecco alcune delle verità che Santoro e i suoi compari hanno nascosto agli ospiti in sala e ai telespettatori. Prima verità. Secondo il testimone d’eccezione della trasmissione di Santoro, Massimo Ciancimino, il figlio di Vito, l’ex sindaco di Palermo condannato per mafia e morto nel 2002, nel periodo delle stragi di Capaci e Via D’Amelio, dove furono assassinati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ci sarebbero state non una, ma due “trattative” segrete ed eversive tra lo Stato e la mafia. La prima “trattativa” sarebbe cominciata nel mese di giugno del 1992, dopo la strage di Capaci e prima della strage di via D’Amelio, e avrebbe avuto come mediatore tra la mafia e lo Stato, rappresentato dall’allora colonnello del carabinieri Mario Mori e dal capitano Giuseppe De Donno, lo stesso Vito Ciancimino, e si sarebbe interrotta nel dicembre del ’92, quando Ciancimino fu arrestato.La seconda “trattativa”, ancora più segreta ed eversiva, sarebbe passata, dopo l’arresto di Ciancimino, nelle mani dell’attuale senatore Marcello Dell’Utri, al quale la mafia avrebbe consegnato il “papello”, cioè la lista delle richieste avanzate per fare cessare le stragi. La verità è che le trattative tra lo Stato e la mafia durano da quando esistono lo Stato e la mafia, e da quando è stata varata la legge sui “pentiti” sono state ufficializzate e legalizzate. È da quel momento che i carabinieri, i poliziotti, i finanzieri, gli agenti della Dia e dei servizi segreti sono stati ufficialmente autorizzati e sollecitati a prendere contatto riservatamente con i mafiosi, già in galera o latitanti, e a convincerli a “collaborare”in cambio di sconti di pena e di favori e di protezione e di stipendio, e dopo che li hanno convinti e indrottinato ad accompagnarli dai magistrati che li interrogano e verbalizzano le loro “rivelazioni”.

Queste “trattative” su cui si mena tanto scandalo sono la normale procedura investigativa nella lotta alla mafia (e i più accaniti sostenitori della legislazione sui “pentiti” hanno sempre sostenuto che senza queste “trattative” è impossibile combattere la mafia, e sono proprio loro che strillano più forte denunciando la “trattativa”dei carabinieri con Ciancimino). In occasione delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, avvicinando i Ciancimino, prima il figlio e poi il padre, il colonnello Mori e il capitano De Donno non fecero altro che ciò che la legge li autorizzava e li sollecitava a fare e cercarono di convincere Vito Ciancimino ad aiutarli a catturare Totò Riina,il capo di Cosa Nostra. E c’erano quasi riusciti, senza bisogno di trattare alcun “papello” (come avrebbero potuto trattare “condizioni” con Riina mentre brigavano per catturarlo?Gli potevano mai mandare a dire: dicci cosa vuoi in cambio della tua cattura?), quando Ciancimino venne inopinatamente arrestato e cessò di collaborare. Della trattativa in corso fu informato chi di dovere e tra questi Liliana Ferraro, direttore degli Affari penali del ministero della Giustizia e già collaboratrice di Giovanni Falcone, e atttraverso di lei, lo stesso ministro, che all’epoca era il socialista Claudio Martelli. Quando la trattativa con Ciancimino si interruppe, verso la fine di dicembre del 1992, non ci fu bisogno di un’altra trattativa perché appena due settimane dopo il colonnello Mori e il capitano Sergio Di Caprio, il famoso “Capitano Ultimo”, catturarono Totò Riina.E lo catturarono con l’ausilio del capitano Antonino Lombardo, nel più tradizionale e classico dei sistemi, col pedinamento dei boss che tenevano i contatti tra Riina e la rete di Cosa Nostra.

Che la storia di una seconda trattativa con lo Stato iniziata nel dicembre del 1992 tramite Marcello Dell’Utri sia una bufala basta a dimostrarlo, a parte la ormai avvenuta cattura di Riina, la data stessa. Nel dicembre del 1992, Dell’Utri era a Milano a dirigere Publitalia, la società che raccoglieva la pubblicità per Silvio Berlusconi e né lui né Berlusconi avevano niente a che fare con la politica e lo “Stato”, né avevano alcuna intenzione di averci a che fare per il futuro (ancora un anno dopo,e per tutto il 1993, Berlusconi, preoccupato per la crisi della prima Repubblica e per la prospettiva della conquista del potere da parte dei comunisti, cercava di convincere Mino Martinazzoli e Mario Segni a organizzare un’alleanza politica ed elettorale, a cui avrebbe offerto l’appoggio delle sue televisioni). Ve l’immaginate Totò Riina che, tra una strage e l’altra, scrive il “papello” per chiedere al direttore di Pubblitalia di impegnarsi per la revisione dei processi di mafia e l’abolizione del carcere duro per i mafiosi? È Dell’Utri che lo rassicura perché nel dicembre del 1992, con due anni d’anticipo, sa già che Berlusconi scenderà in politica e vincerà le elezioni del ’94 e sarà nominato capo del primo governo della seconda Repubblica e la prima cosa che farà, con la maggioranza che ha conquistato in Parlamento, sarà di promuovere per legge la revisione dei processi, la scarcerazione dei boss e l’abolizione del carcere duro?

Seconda verità. Sempre secondo le “rivelazioni” di “Anno zero”, Paolo Borsellino sarebbe stato informato della trattativa in corso tra Mori e De Donno e Ciancimino e vi si sarebbe opposto, e per questa ragione sarebbe stato assassinato:q uesta, come ha detto Santoro, è la “notiziona” della trasmissione di giovedì sera, la clamorosa e sconvolgente scoperta dei suoi segugi, che mette fine a tutte le discussioni. Borsellino è stato ucciso per responsabilità dei carabinieri Mori e De Donno e su mandato di chi stava trattando con la mafia,cioè Dell’Utri, che già preparava Forza Italia per Berlusconi. La verità nascosta da “Anno zero” è che Borsellino, come Falcone, di pochi altri si fidava come di Mori e di De Donno, e soprattutto dopo l’assassinio di Falcone. E,benchè non fosse direttamente incaricato delle indagini (la competenza per la strage di capaci era della procura di Caltanisseta)cercava disperatamente di capire come e perché il suo collega ed amico era stato assassinato e a questo scopo si riuniva segretamente proprio con Mori e De Donno nella caserma dei carabinieri, il più lontano possibile dal Palazzo di giustizia di Palermo. Se fosse vero che Borsellino fosse stato informato della trattativa segreta e abusiva ed eversiva di Mori e di De Donno con la mafia tramite Ciancimino,vorrebbe dire che Paolo Borsellino era loro complice e tramava con loro mentre trattavano con la mafia. Un’accusa ancora più grave di quella che viene fatta a Borsellino,quando si sostiene, agitando per l’aria le agendine rosse, che Borsellino avrebbe avuto dal “pentito” Gaspare Mutolo clamorose rivelazioni circa magistrati e poliziotti complici della mafia, e che Mutolo gli avrebbe fatto anche i nomi, e Borsellino non avrebbe verbalizzato, non avrebbe registrato nel verbale dell’interrogatorio le rivelazioni del “pentito”.

E, in definitiva, sarebbe stato il mandante dell’assassinio di se stesso. Terza verità (sembra una sciocchezza rispetto alla prima e la seconda verità, ma vale per rendere un’idea delle “verità rivelate” da Santoro e compagni). Per sottolineare drammaticamente la “verità” di un Borsellino sconvolto per l’incontro che avrebbe avuto con Mancino, neo ministro dell’Interno, e per le persone che avrebbe incontrato nell’ufficio del neo ministro (persino Bruno Contrada, proprio il poliziotto denunciato un’ora prima da Mutolo come connivente con la mafia) e che lo aveva costretto a interrompere l’interrogatorio di Mutolo,lo stesso Mutolo ha raccontato, e Travaglio e compagni lo ripetono da anni, che Borsellino, quando è tornato a riprendere l’interrogatorio di Mutolo,era talmnte nervoso che “accendeva e fumava due sigarette contemporaneamente”. La verità, come sanno tutti coloro che nel tempo hanno frequentato Borsellino e come ha testimoniato per l’occasione anche il procuratore Aliquò, presente all’interroratorio di Mutolo, è che Borsellino era un fumatore incallito e ininterrotto, che usava accendere la seconda sigaretta con il mozzicone ancora acceso della sigaretta precedente. Che quel giorno fosse talmente sconvolto da fumare due sigarette contemporaneamente è falso, come è falsa la trattativa segreta ed eversiva di Mori e di De Donno, come è falsa la seconda trattativa condotta da Dell’Utri, come è falso che Borsellino abbia saputo della doppia trattativa (al massimo, ha saputo, e lo poteva anche aver saputo direttamente da De Donno, dei “normali” contatti e tentativi investigativi dei carabinieri) ed è falso che sia stato ucciso per questa ragione. È vero invece che per diffondere queste falsità e questi veleni Santoro e Travaglio e i loro compagni di merende (e purtroppo non solo loro) devono nascondere la verità. (il Velino)

7 commenti:

Gioacchino Basile ha detto...

Caro Salvatore, ti ringrazio per la domanda che hai rivolto a Carlo Vizzini, che spero abbia il coraggio di rispondetrti pubblicamente. (sic.)
Siamo sulla strada giusta anche se resta sbagliato il tuo convincimento sul movente, che assegna la maledetta del strage del 19 luglio 1992 alla trattativa fra lo Stato e la feccia criminale associata in "cosa nostra"; renditi conto che questa ipotesi non ha dignità a fronte della minima intelligenza umana.
Lo Stato, anche il più indegno e lacerato Stato non può essere ostaggio dell'accozzaglia criminale o dei Ciancimino dell'ultima ora, che dopo la morte di Salvo Lima contavano meno del due di coppe, quando la briscola è a denari !!! Questa è solo mùnnezzà che serve a depistare la vergognosa verità che volle i nostri Eroi morti per salvare gl'infami che dentro la Magistratura è le Istituzioni più in generale tradivano la nostra Costituzione per salvare i loro infami padroni politici che ancora oggi nascondono le loro infamie dietro i vessilli insanguinati dei nostri Eroi.
"La nuova" sortita "dell'antimafioso" Carlo Vizzini indica finalmente chi erano i due Magistrati che cenarono con tuo fratello Paolo a Roma, la sera del 16 luglio 1992:
<< Era iperattivo, lucido, molto tosto e interessato alle nostre proposte e mi colpì per il fatto che chiese l'intera documentazione e se la fotocopiò. Fu un colloquio franco e leale». Fu quello il primo incontro con il magistrato che sarebbe stato ucciso di lì a poco. Il secondo e ultimo avvenne il 16 luglio, tre giorni prima dell'eccidio di via D'Amelio. «Andò così - ricorda Vizzini -. Mi chiamarono lui, Lo Forte e Natoli. Erano a Roma e nel tardo pomeriggio avevano finito di lavorare, perché quel giorno avevano sentito il pentito Mutolo. Volevano vedermi, diedi loro appuntamento a un ristorante di piazza di Spagna. Il Moccoletto, si chiamava. Al tavolo eravamo solo noi quattro».
A priscindere dal fatto che in una trasmissione televisiva della tarda primavera del 2007, Carlo Vizzini rivolgendosi a tua sorella, si onorava d'aver cenato insieme a tuo fratello ed un'altro Magistrato la sera del 16 luglio a Roma è quindi uno è non due, come afferma adesso; di Lo Forte non necessitano commenti.
Ora c'è anche il nome di Natoli di cui avevo fondati dubbi che lo rappresentavano nello scenario del mio movente.
Salvatore, i Magistrati siciliani ci daranno veramente un inequivocabile segnale di onestà nei confronti della nostra Costituzione, solo quando inizieranno quelle cristalline indagini che debbono portare necessariamente; o Gioacchino Basile in galera per le eventuali ed indegne calunnie consumate contro quei Magistrati che si dicono amici di tuo fratello, oppure la distruzione di quell'infame siparietto di carta che nasconde il volto malvagio ed infernale di quei servi del potere ad ogni costo che con le loro infami e calunniose omissioni, hanno negato l'accesso alla dignità ed alla democrazia del popolo siciliano.
Che Dell'Utri sia stato amico dei mafiosi è fatto inconfutabile che sò da sempre. Che il buttaniere è quant'altro gli si vuole attribuire, abbia usato i criminali per difendere i suoi interessi è altrettanto inconfutabile: << chi sarebbero quegli onesti imprenditori che non lo hanno fatto?!!>>
Ma in ordine alle infami stragi del 1992 bisogna guardare dentro le indegne e infami compromissioni di Fincantieri le partecipazioni Statali e dei loro servi.
Gioacchino Basile
PS. Salvatore, t'informo che invierò questa e-mail a tutti gl'indirizzi in mio possesso è ti chiedo gentilmente di pubblicarla nel tuo sito.

fuoco amico ha detto...

Questta estate sono uscite delle rivelazioni molto interessanti di Geronimo sul secolo decimonono.
Le ripropongo per l ennesima volta.

UN AGGHIACCIANTE ARTICOLO-DOCUMENTO DI CIRINO POMICINO SULLE STRAGI DI MAFIA - “VIOLANTE, ENZO SCOTTI, ARLACCHI SU CAPACI E VIA D’AMELIO GIOCANO CON L’OBLIO DEL TEMPO” - “Non ci sto” DI SCALFARO NON legato ai fondi neri Sisde MA alla trattativa mafia-Stato - L’ACCORDO FU TRA MAFIA E UNA PARTE DELLA POLITICA CON SERVIZI ITALIANI E STRANIERI - Falcone STAVA indagando sull’uscita dalla Russia di ingenti somme di denaro del Kgb

In queste settimane siamo stati travolti da un effluvio di interviste sulle stragi di via D'Amelio e di Capaci in cui morirono Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, piene di ricordi sbiaditi che non fanno onore alla verità storicamente accertata.

Luciano Violante, Enzo Scotti, Pino Arlacchi, Oscar Luigi Scalfaro giocando nell'oblio del tempo hanno detto cose che non stanno né in cielo né in terra. A cominciare dal famoso «Non ci sto» scalfariano legato ieri ai fondi neri dal Sisde e oggi, invece, collegato al rifiuto di una trattativa tra mafia e Stato.


La riapertura delle indagini della Procura di Caltanissetta sulle dichiarazioni di Massimo Ciancimino ha dato il via a una sarabanda di ricordi falsi, naturalmente in buona fede, che rischiano ancora una volta di allontanare la verità che molti sanno e che per paura non dicono diventando così complici di chi tradì la Repubblica a cavallo degli anni Novanta.

Per consentire a ciascuno dei lettori di farsi una propria opinione è bene ricordare i fatti storicamente accertati:

1) sono stati sempre noti i collegamenti negli anni '89-‘93 tra alcuni gradi dei servizi italiani e stranieri e alcuni mafiosi. Dal rapporto riservato e non autorizzato con Totuccio Contorno del prefetto Domenico Sica e del capo della Criminalpol Gianni Di Gennaro, agli uomini che visitarono nel carcere inglese di Full Sutton il mafioso Francesco Di Carlo per chiedergli indicazioni sui possibili killer per uccidere Giovanni Falcone sino al rapporto con Vito Ciancimino del generale de i carabinieri Mario Mori.

Mentre nel primo e nel terzo caso i rapporti possono inquadrarsi in un lavoro di intelligence per colpire la mafia, nel secondo caso, quello del pentito Di Carlo, gli obiettivi erano di natura mafiosa;

2) nel settembre del 1989 il decreto legge Andreotti-Vassalli allunga il periodo di carcerazione preventiva agli imputati di associazione mafiosa. Il vecchio Pci con Violante fa una tremenda requisitoria contro il governo e vota contro;

3) alla fine dell'estate del ‘90, secondo gli accertamenti del pm di Caltanissetta Luca Tescaroli, c'è un contatto tra alcuni capi mafiosi (Totò Riina o Bernardo Provenzano) e un non meglio identificato agente istituzionale per discutere della reazione stragista alla legislazione antimafia dell'epoca;

4) nello stesso anno, Francesco Di Carlo riceve nel carcere inglese di Full Sutton un agente dei servizi siriani, tal Nazzar Hindaw, insieme a quattro persone, tre mediorientali e un italiano. Questi gli chiesero di indicare qualcuno che poteva aiutarli a uccidere Giovanni Falcone. Di Carlo fece il nome di Antonino Gioè, che infatti partecipò alla strage di Capaci, fu arrestato e un mese dopo fu trovato impiccato nel carcere di Rebibbia;

fuoco amico ha detto...

5) il 23 dicembre ‘91 viaggiano casualmente sullo stesso volo Roma-Palermo Luciano Violante e Giovanni Brusca, già all'epoca noto mafioso;

6) tre mesi dopo il piemontese Luciano Violante fu capolista a Palermo del vecchio Pci nelle elezioni politiche del 1992 e in quella occasione nasce il movimento della Rete di Leoluca Orlando, che prende in Sicilia il 9% salvo a sparire qualche tempo dopo;

7) il 5 marzo 1992 c'è l'omicidio di Salvo Lima;

8) il 17 marzo 1992 Vincenzo Scotti, ministro dell'Interno, allerta le prefetture di tutta Italia preannunciando un piano di destabilizzazione istituzionale. Questo piano prevedeva attacchi mafiosi e indagini giudiziarie su tutti i leader dei partiti di governo. Quarantotto ore dopo Scotti si rimangia tutto davanti alle Commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato;

9) il 23 maggio1992 Falcone e la sua scorta saltano in aria;

10) ai primi di luglio ‘92, uno scritto anonimo inviato a tutte le autorità descriveva tutto ciò che poi sarebbe accaduto nei mesi successivi sugli attacchi mafiosi, sulle indagini di Tangentopoli e sull'impunità dei mafiosi pentiti;

11) il 19 luglio '92 Borsellino e la sua scorta saltano in aria in via D'Amelio;

12) nel settembre ‘92 a casa Scotti, non più ministro, il capo della polizia Vincenzo Parisi e il capo di stato maggiore dell'arma dei carabinieri, generale Domenico Pisani, confermarono al neoeletto segretario della Dc Mino Martinazzoli la veridicità dell'informativa del marzo precedente per la quale lo stesso Scotti prima aveva allertato le prefetture e poi ne aveva smentito il valore;

13) nel gennaio del ‘93 viene arrestato Totò Riina;

14) nella primavera del ‘93 arrivano le bombe mafiose di Milano, Firenze e Roma e subito dopo i programmi di protezione incominceranno a scarcerare mafiosi, camorristi e 'ndranghetisti (oltre 3 mila nei dieci anni successivi) così come aveva previsto il documento anonimo del luglio ‘92.

Ultimo dato da ricordare. Pochi giorni dopo la sua morte, Giovanni Falcone doveva incontrare, come è documentato da un telex alla Farnesina, Valentin Stepankov, procuratore generale di Mosca che indagava sull'uscita dalla Russia di ingenti somme di denaro nella disponibilità del Kgb, molti agenti del quale gironzolavano indisturbati per mezza Europa.

Questi alcuni fatti.
Adesso un'opinione, una considerazione e un consiglio. L'opinione. La tenaglia fra stragi mafiose (Falcone, Borsellino) e inchieste giudiziarie sui finanziamenti ai partiti di governo ha scansioni temporali e obiettivi troppo simili per non immaginare un "oggettivo" coordinamento tra di loro che produsse effetti devastanti sul sistema politico italiano.

L'accordo, infatti, non fu tra mafia e Stato, ma tra mafia e una parte della politica con l'aiuto di uomini deviati dei servizi italiani e stranieri e delle forze dell'ordine come si leggeva sul documento anonimo del luglio 1992 che Violante imputò ai carabinieri (se fosse vero, ancora una volta l'Arma avrebbe tentato di aiutare la Repubblica).

La considerazione.
È molto strano che solo dopo 17 anni Violante dichiari che Ciancimino voleva parlare con lui come gli avrebbe detto il generale Mori. È vero il contrario. Fu Violante a chiedere a Mori di voler sentire alcuni mafiosi tra cui Ciancimino, come dimostrano i verbali del 29ottobre 1992, nell'ambito dell'indagine mafia-politica. Violante era presidente dell'Antimafia e capogruppo Dc in quella Commissione era Vincenzo Scotti.

Il consiglio.
Le forze politiche abbiano un sussulto di orgoglio e varino una Commissione parlamentare di inchiesta su quegli anni in cui la Repubblica fu tradita e certi servitori dello Stato, come Falcone e Borsellino, pagarono con la vita la lealtà verso la nostra democrazia. E si faccia presto perché annusiamo sotto vento che è in preparazione un altro furibondo attacco alle istituzioni che presiedono alla legalità repubblicana con complicità attive e omissive impensabili e di cui presto torneremo a parlare.

Anonimo ha detto...

necessita di verificare:)

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good

Anonimo ha detto...

imparato molto