martedì 12 ottobre 2010

Fabbriche di fango, tiro al bersaglio sul Giornale. Gabriele Villa

Contro il Giornale, sempre e comunque. All’attacco, a prescindere. Perché noi siamo i killer e gli altri i buoni. Sempre e comunque. A prescindere. Nell’Italia capovolta, dove i fatti non sono fatti se li racconta il Giornale e dove le inchieste non sono inchieste, ma solo container di fango, se le facciamo noi del Giornale, si dà sempre volentieri asilo a chi cerca solidarietà. E nella spaziosa Casa della solidarietà e del vittimismo gli inquilini si susseguono a ritmo incessante. Non importa che casacca indossino. Si va trasversalmente da Fini a Santoro, dalla Marcegaglia a Travaglio, dai cognati ai compagni di merende. Per entrare a far parte del Club dei Poveri Martiri non occorre quota di iscrizione, né tessera.

È sufficiente essere stati oggetto, almeno una volta, di un pezzo «non allineato» prodotto da noi cecchini del Giornale ed ecco che, magicamente, si spalancano le porte dell’accoglienza tout court. Se ci mettessimo ad elencare tutte le operazioni di boicottaggio e di disinformazione compiute solo recentemente ai nostri danni dovremmo uscire con un’edizione speciale, quindi circoscriviamo le nostre considerazioni alla vicenda Marcegaglia e vediamo di distinguere la vera verità dalla verità degli altri. L’uomo di fiducia della presidente di Confindustria, Rinaldo Arpisella, in un telefonata con Nicola Porro vicedirettore del nostro quotidiano, infarcita di battute scherzose, qualcuna, per carità, certamente un po’ grossier, ravvisa un tono intimidatorio e minaccioso. È sicuro, in buona sostanza, quando conclude la telefonata, che il Giornale abbia già pronto un dossier contro la sua presidente e ritiene opportuno metterla sull’avviso.

Emma Marcegaglia che già vive, almeno dal 26 maggio, nell’ossessione che qualcuno stia tramando contro di lei, come abbiamo scritto, giusto avant’ieri su queste stesse colonne, sulla scorta di dati oggettivi, non esita ad alzare il telefono e a chiamare Fedele Confalonieri, autorevole membro del Cda del Giornale, presidente di Mediaset, nonché amico di vecchia data del premier Silvio Berlusconi. Confalonieri chiama a sua volta Feltri che non esita a dirgli la vera verità: il Giornale non sta preparando alcun dossier sulla Marcegaglia, né si è mai sognato di farlo. Confalonieri telefona alla presidente di Confindustria e la rassicura.

Tutto, in un’Italia non capovolta, dovrebbe finire qui, con un nulla di fatto. Solo che la solerzia che caratterizza i giudici, almeno una parte consistente di giudici, quando si tratta di andare a sfrucugliare il Giornale, si manifesta nel più sorprendente dei modi. Si scopre infatti che la telefonata tra Arpisella e Porro come altre telefonate del direttore Sallusti sono state preventivamente intercettate e registrate dai pm Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli, nell’ambito di un’inchiesta che non ci riguarda, che non ha niente a che fare con il Giornale. Così nel momento in cui la Marcegaglia denuncia un presunto complotto nei suoi confronti ad opera del Giornale ecco che Woodcock fa scattare, sempre preventivamente e sempre con invidiabile solerzia la Grande Perquisizione nelle stanze del Giornale e nelle abitazioni private di Porro e Sallusti.

Ovviamente non viene trovato alcun dossier perché non c’è alcun dossier da trovare. Anche questa è la pura verità. Solo che la vera verità dichiarata e ribadita anche il giorno dopo da Confalonieri non viene tenuta in considerazione perché non fa comodo tenerla in considerazione. Così mentre il Giornale incassa solo qualche timido e inevitabile vagito di solidarietà, anche il fronte politico, comprese alcune voci critiche del Pdl, approfitta della circostanza per darci torto. Così, giusto per farlo. Così giusto perché i malvagi siamo noi e dobbiamo sempre comunque essere noi. A prescindere dalla verità. In compenso scende in campo il battaglione dei giornalisti d’assalto, quelli che fanno inchieste vere e non mettono il fango nel frullatore come noi.

Il primo ad ignorare la vera verità è, come al solito, Giuseppe D’Avanzo i cui toni nei confronti del Giornale, questa volta, come riportiamo qui accanto, superano di molto l’insolenza. Sono insulti, null’altro che insulti. Ma se per lui è un classico ignorare la verità, far finta, sistematicamente, che quanto scrive il Giornale ( su Fini o sulla Marcegaglia non importa) siano «fattoidi» e «falsi indiscutibili», è ancora una volta sorprendente notare come anche il Corriere della Sera lo segua a ruota affidando questa volta a Fiorenza Sarzanini l’opportunità di denigrarci e raccontare solo la verità di Emma Marcegaglia.

Curioso, no? Curioso almeno quanto il fatto che sempre lo stesso Corriere riservi a un suo editorialista, noto e stimato, Piero Ostellino (come era accaduto già al Pansa degli ultimi tempi di Repubblica) un trattamento privilegiato. Il suo pezzo viene infatti relegato a pagina 36 solo perché, prendendo lo spunto da un sondaggio di Sky in cui emerge che la maggioranza degli italiani non si è indignata per la censura preventiva imposta al Giornale, Ostellino sceglie di gridare allo scandalo e di indignarsi, lui sì, vivaddio, contro questa «anormalità» e contro il comportamento «anomalo» di Emma Marcegaglia e il meccanismo «surreale» che la denuncia della presidente di Confindustria ha innescato. Un’altra vera verità, che per il fatto stesso di andare a difesa del Giornale, deve essere per forza ignorata o quantomeno nascosta.

A proposito di ignorare, non si può chiudere questo articolo senza chiedersi come mai i solerti pm Woodcock e Piscitelli abbiano deciso di tener per buone le preoccupazioni (infondate) di Emma Marcegaglia e di Arpisella, tanto da ravvisare addirittura il reato di concorso in violenza privata a carico di Sallusti e Porro, e non si sentano nemmeno sfiorati dall’idea di approfondire quelle strane ipotesi («cerchio sovrastrutturale», etc) che Arpisella fa nella telefonata con Porro facendo intendere di saperla lunga. Di conoscere cioè i mandanti del caso D’Addario, celebre operazione anti-premier e, cosa ancora più preoccupante, di essere a conoscenza che una sorta di Spectre, organizzazione dai poteri occulti, controlli l’Italia. Massì, forse è meglio tenersi alla larga dalla verità. Perché, come diceva Gianni Rodari, uno che le favole (vere) le scriveva, «Nel Paese della bugia, la verità è una malattia». (il Giornale)

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