venerdì 15 ottobre 2010

Zona franca per le tue opinioni

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3 commenti:

Anonimo ha detto...

Solo amici tuoi o anche centro, destra, centro-destra?

Flavio

maurom ha detto...

Anche sinistra e centro-sinistra, Flavio.

Anonimo ha detto...

Bologna, 11 ott (Il Velino) - In contemporanea con gli affidabili dati dei sondaggi di Mannheimer, che rivelano la diminuita fiducia degli italiani nel governo (fonte: “Corriere della Sera”, 10 ottobre 2010), Berlusconi controbatte sostenendo che il governo fa bene e deve andare avanti. Secondo lui è il Popolo della Libertà, vale a dire il partito, che ha dato una brutta immagine di se stesso, ma per colpa del neo-nato Futuro e Libertà, e quindi ha appannato anche quella del governo. Il problema si fa complicato poiché, da un lato, il Popolo della Libertà è di gran lunga il maggiore partito di governo il cui leader è Presidente del Consiglio; dall’altro, perché tutte, o quasi, le decisioni del PdL vengono prese dal capo del partito ovvero da Silvio Berlusconi. Possibile che il capo e co-fondatore del Popolo della Libertà si sia dimenticato di non avere mai fatto funzionare la sua grande organizzazione come se fosse davvero un partito, ovvero una organizzazione di uomini e di donne che discutono e agiscono? Possibile che nessuno intorno a lui, tranne, forse, i rumors additano sempre lui, Gianni Letta, abbia avuto il coraggio di spiegargli come vanno le cose (e che la colpa non era e non è soltanto dei finiani)? Possibile che Berlusconi non abbia avuto modo di rendersi conto che in un partito le opinioni diverse possono non essere “tradimenti”, ma “arricchimenti”? Crede, forse, Berlusconi di potere governare il PdL come Bossi governa, anzi, domina la Lega, con conseguenze ugualmente positive? Il fatto è che la Lega è un partito davvero radicato sul territorio con dirigenti e parlamentari che rispondono certamente a Bossi, ma che hanno anche, perché rappresentativi delle diverse comunità, una relazione continua, incessante, naturale con i loro elettori. Non sappiamo, invece, quanti dei 61 mila Circoli del PdL esistano davvero sul territorio, che compiti abbiano, che tipo di funzioni svolgano.
Qualcuno ritiene che persino la legge elettorale che Berlusconi difende strenuamente ha prodotto qualche effetto non desiderato e non gradito e, sembrerebbe, neppure capito. Ma se i parlamentari del PdL debbono la loro selezione e la loro elezione esclusivamente a Berlusconi e all’ordine di lista che viene loro attribuito dall’alto, se è inutile che facciano campagna elettorale perché non conta quanti elettori convincono a votare e quanti voti loro stessi specificamente riescono a raccogliere, se contano soltanto il richiamo del leader e la campagna elettorale che lui conduce, collocandosi come capolista in tutte le circoscrizioni, allora nessuno dei potenziali parlamentari avrà il minimo interesse a costruire qualcosa di solido e duraturo. Anzi, è persino venuto meno quanto i democristiani, a cominciare da Scajola, consideravano cruciale per le loro correnti: la capacità dei singoli eletti di costruirsi, di mantenere, di oliare e di ampliare il loro comitato elettorale. Tempo fa il più limpido e più affidabile indicatore della probabile crescita elettorale del Partito Comunista era costituito dall’aumento del numero degli iscritti e, naturalmente, se gli iscritti calavano, alle prime elezioni successive, il Partito perdeva voti. Credo che una dinamica non molto dissimile, ancorché basata su indicatori diversi, sia all’opera per il Popolo della Libertà. Il partito si divide, delude e perde consensi. Sembra inevitabile che questa perdita si rifletta sia sulla popolarità del governo sia sulla predisposizione degli elettori a tornare a votare per quel governo attraverso il maggiore partito che lo sostiene. Mentre la Lega scalpita, con ottimismo forse eccessivo, la ragione per la quale Berlusconi sta cercando di spingere più in là le consultazioni elettorali potrebbe proprio essere la acquisita consapevolezza che la crisi di luglio-settembre dentro il PdL sta producendo contraccolpi negativi. Ma la sola consapevolezza degli inconvenienti, non accompagnata da una seria apertura del confronto interno nel quale misurare anche le capacità dei futuri eventuali parlamentari, certamente non basta.

(Gianfranco Pasquino)