lunedì 29 novembre 2010

"Berlusconi si deve dimettere", ma Fini non spiega perchè. Giancarlo Loquenzi

Il mantra finiano di questi ultimi giorni è il seguente: “Berlusconi si deve dimettere”. Se uno ingenuamente chiede il perché ottiene questa risposta: “Perché non ha più la maggioranza”.

Benissimo, può essere vero, ma si tratta di un’opinione come un’altra. Dal punto di vista di Berlusconi l’evidenza è molto diversa.

Il 29 settembre il governo ha attenuto la fiducia alla Camera e al Senato sulla base di 5 punti programmatici che - piaccia o meno – sono in corso di approvazione. I finiani l’hanno votata come sol uomo.

Gli stessi finiani hanno votato a favore di uno dei passaggi più spinosi della legislatura, il lodo Alfano, persino nei suoi passaggi più controversi. Ricorderete la valanga di polemiche riversatasi su Fli dopo il voto a favore della retroattività del lodo.

La legge finanziaria, o di stabilità, come si chiama oggi, uno degli atti centrali di qualsiasi governo, è passata pressoché indenne alla Camera, dove la possibilità di agguati era certamente maggiore.

Non parliamo neppure del Senato dove il governo gode di una maggioranza stabile e intatta anche dopo l’addio dei finiani.

La riforma dell’Università, un altro punto centrale del programma di governo, dopo essere stata allegramente impallinata dai finiani appostati sui tetti su qualche emendamento marginale, verrà approvata, poiché a detta di Fini stesso “è una delle cose migliori fatte da questo governo”.

Il pacchetto per il Sud, che faceva parte dei 5 punti della fiducia, è stato varato dal Consiglio dei Ministri e non sembra essere destinato a particolari imboscate da parte finiana nel suo passaggio parlamentare.

Infine, Fini e i finiani, contrariamente al Pd non hanno presentato alcuna mozione di sfiducia per il prossimo 14 dicembre e hanno più volte ripetuto che non voteranno la mozione piddina.

Insomma, tornando alla domanda iniziale: “perché Berlusconi si deve dimettere”, la risposta finiana non pare rispondere ad una logica molto stringente. L’onere della prova che il governo Berlusconi non abbia più la maggioranza è dunque tutto dalla loro parte. Per questo Berlusconi dice una cosa ovvia quando risponde: “volete le mie dimissioni? Votatemi la sfiducia”.

Ciò nonostante, in ogni intervista, in ogni talk show, Fini e i finiani ripetono come un disco rotto: Berlusconi si deve di mettere. E anzi giudicano la sua resistenza al loro invito un segno di irresponsabilità e di tracotanza. Capiamo che non lo sopportino, che lo abbiano in odio e sia un ostacolo alle loro ambizioni: ma questo non basta per chiedergli di farsi da parte. Vogliono il suo suicidio per non sporcarsi le mani davanti agli elettori.

Ma come ripeto spesso, la politica ha una sua logica che non si può mai interamente sovvertire. Potrebbe avere un senso fare a Berlusconi una proposta del genere: “il 14 dicembre, con i nostri voti, l’opposizione può ottenere la caduta del governo. Risparmiati questa umiliazione e dimettiti. In cambio noi sosterremo il tuo reincarico dopo un momento di discontinuità e un sostanzioso rimpasto di governo che ci possa far rientrare anche assieme all’Udc”. Berlusconi potrebbe comunque non fidarsi e rifiutare – in Italia anche poche ore di crisi possono essere foriere di fatti incontrollabili – ma sarebbe una proposta da prendere in esame. Invece i finiani cosa dicono: “fatti da parte spontaneamente e lasciaci fare un governo con il tuo partito (quel Pdl che dichiarano ormai morto) ma senza di te. Tu ritirati a vita privata e fatti dimenticare”.

Può una proposta del genere essere ricevibile da qualcuno che anche non avesse l’alta opinione di sé che ha il Cav? Certo che no. Eppure è questo, che con inossidabile ordine di scuderia, i finiani vanno ripetendo per ogni dove, con l’aria seria e compunta come stessero recitando la formula magica per la salvezza del paese.

Il governo non sarà in perfetta salute ed è soggetto a numerosi scivoloni parlamentari (quelli che Briguglio definisce voti pedagogici e curativi per Berlusconi) ma tenta di fare il suo mestiere. Il presidente della Camera usa il Parlamento come una plaza de toros in cui sfiancare l’animale ferito. E lo fa con l’aria di chi gli sta facendo un favore. Per questo poi si sorprende e si lamenta se ogni tanto incassa qualche cornata. (l'Occidentale)

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