lunedì 15 novembre 2010

Da Mani Pulite a Ruby i giudici sono sempre contro. Paolo Pillitteri

Davvero singolare la cosiddetta crisi della maggioranza, annunciata peraltro da oltre un anno, da quando cioè, la macchina del fango contro il Cav si intrecciò con l’attentato “della madonnina” che, a nostro sommesso parere, è il vero punto di ricaduta psicopolitica del Premier.
Ci ritorneremo, prima o poi, su quella che riteniamo fra le cause principali dell’avvitamento, della disillusione, della solitudine, del ritrovarsi di colpo davanti ad un evento tanto orribile quanto imprevisto per un leader che non riusciva - e non riesce - a spiegarsi chi potesse volergli così male da attentare alla sua vita.
Crisi, dunque. Singolarissima.
Perché, a ben vedere, non si tratta di una vera e propria crisi di maggioranza e nemmeno di un cambio di regime.
A parte il fatto che Fini vuole sostituirsi a Berlusconi
... Le stesse inchieste giudiziarie hanno ormai un peso relativo.
Si tratta, più semplicemente e drammaticamente di una precisa, determinata, mirata volontà: di eliminare dalla scena politica il Cavaliere, di disfarsene.
Come ha detto Rondolino, è una vera e propria caccia all’uomo.
Basta infatti seguire per qualche minuto le trasmissioni della nouvelle vague politica tipo “Annozero”, con relativi ospiti, per rendersi conto che l’obbiettivo non è un nuovo governo, una nuova maggioranza, un governicchio qualsiasi, insomma una soluzione propositiva.
Che, politicamente, non c’è.
L’obbiettivo è uno e soltanto, quello: fare fuori Berlusconi, poi si vedrà, l’intendence suivra, per dire.
A nessuno degli attuali contestatori del berlusconismo interessa il futuro del paese, l’etica pubblica, il bilancio dello stato, la giustizia.
La quale giustizia non ha smesso di irrompere nella politica da quel 1992, con analogie con “manipulite” a dir poco impressionanti, quali si evincono dalle dichiarazioni della giovanissima Ruby: “Sono stata interrogata dai Pm, dopo il 27 maggio, ben 23 volte, e mi hanno chiesto solo di Sivio”.
E sempre a proposito di giustizia vale la pena soffermarsi sulle incredibili diatribe, sempre a proposito dell’affaire Ruby, fra pm dei minori, questura, ministro degli Interni e procuratore capo, culminate in una querela annunciata da Maroni, per tentare ci capire la complessità di uno scenario a dir poco inquietante in cui si muovono certi attori della Ruby’s story, tenuti al rigoroso riserbo, e all’improvviso insorti come morsi dalla tarantola con interviste e ricorsi al Csm (una volta si andava al Tar, magari del Lazio), come ad evidenziare giochi sotterranei di correnti, di dissapori, di rancori.
Un gioco pericoloso in cui sembrano capovolgersi i canoni tradizionali di un apparato giudiziario che, almeno in apparenza (che conta, eccome) dovrebbe conservarsi ligio, se non alla consegna del silenzio, almeno alle gerarchie interne.
Del resto, il medesimo scenario è ravvisabile un po’ dovunque, all’interno di strutture portanti dell’intero sistema paese.
E qui il discorso non può non riandare all’intervento di procure che hanno di fatto colpito al cuore il simbolo della Protezione Civile, Bertolaso, ora in pensione, senza che peraltro alcun processo sia stato avviato, anzi, senza alcun rinvio a giudizio.
Del resto, non avvenne così anche nel biennio ’92-’94? Con una differenza sostanziale: che oggi la magistratura non appare più il soggetto invincibile e credibile di allora, tant’è vero che davanti ai molti avvisi di garanzia ben pochi lasciano gli incarichi, pochissimi fanno il classico passo indietro, nell’indifferenza di un paese che non sa più a che Santo (autorità) votarsi.
L’autorità, appunto.
Guardiamo dentro una struttura anch’essa portante dello stato, la Rai.
Qui il direttore generale è quotidianamente irriso e contestato da dirigenti e anchor men che se ne infischiano di lui e lo sbeffeggiano in diretta.
E non succede niente, anzi. Lo stesso accade, ma è più comprensibile, in altri settori, vedi il rottamatore Renzi contro Bersani, e lo stesso Fini versus Berlusconi.
Sta saltando, dopo i minatori volonterosi all’opera da anni, il principio di autorità e/o di leadership.
Che è poi il principio della politica se non del potere tout court, inteso come auctoritas riconosciuta, condivisa, accettata.
E tuttavia, la singolarità della crisi contro Berlusconi, quel volerlo a tutti i costi abbattere senza proporre un progetto alternativo serio e credibile, senza che la sinistra abbia un leader alla sua altezza - salvo ricorrere ad un esterno come Casini – senza, soprattutto, riflettere sul dopo, ebbene, in questo stanno, forse, alcuni atout che il leader dell’ex Pdl potrebbe giocare.
Ma in fretta.

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