martedì 4 gennaio 2011

Battisti e Pietrostefani. Davide Giacalone

Le reazioni politiche e culturali al caso di Cesare Battisti mettono in evidenza una debolezza inquietante del nostro pensare collettivo. Non c’è memoria, non c’è riflessione, sperando che il tutto possa essere nascosto sotto lo stuoino dell’indignazione. Una domanda, tanto per capirsi: perché nessuno parla di Giorgio Pietrostefani? E’ stato condannato, in via definitiva, a 22 anni di carcere, quale mandante dell’omicidio Calabresi. Gli altri due, Adriano Sofri e Ovidio Bompressi, sono andati in galera (e ne sono usciti), ma lui è andato in Francia, dove immagino si trovi ancora. La Francia ha un governo di destra, è un Paese dell’Unione Europea, c’è libera circolazione di ogni cosa e persona e, da qualche tempo, c’è anche il mandato di cattura europeo. Ma Pietrostefani vive libero e tranquillo. Cos’è, se i giornali non ne parlano, quelli al governo non se ne accorgono?

Ho letto un lungo pezzo di Claudio Magris, pubblicato dal Corriere della Sera, provando disagio e imbarazzo. Tribuna e tribuno indicano il parlare della nostra intelligenza, la quale, però, è ottusa nel sostenere che le Brigate Rosse e i Pac (proletari armati per il comunismo), cui aderiva Battisti, erano affini. E’ come sostenere che i fascisti assassini dei Nar (Fioravanti e Mambro) siano stati affini a quelli del Fronte Nazionale (Freda). Facendo confusione si finisce con il non capire che è in libertà, in Italia, per mano italiana, un agente dei servizi dell’est, pluriassassino: Mario Moretti. Cui la Francia non avrebbe riservato alcuna accoglienza, al contrario di quel che fa con gli amici di Oreste Scalzone. Forse è il caso che i nostri intelligentoni provino a studiare e capire la storia italiana negli anni della guerra fredda, così scopriranno cose ancora utilissime.

Battisti, come Pietrostefani, s’è giovato della “dottrina Mitterrand”. Era un amico dei terroristi, il presidente socialista francese? No, era un amico dei propri agenti e infiltrati, come era un amico di quella corrente di pensiero che considera la Francia superiore all’Italia perché da noi la magistratura non è al servizio delle leggi, ma della politica. Aveva torto? No, aveva valide pezze d’appoggio. Le lunghissime carcerazioni preventive, comminate per legge ai terroristi e per decreto (per decreto!) ai mafiosi, non sono sinonimo di severità, ma d’ingiustizia. Una giustizia funzionante condanna e fa scontare, non mette i ceppi al posto del processo. La cosa straordinariamente mentecatta è che non lo vedono per gli altri quelli che lo denunciano per sé stessi. La radice delle deviazioni giudiziarie di oggi affonda fino agli anni di piombo. Avevamo le nostre ragioni, noi italiani, perché subivamo una guerra interna con infiltrazioni esterne, ma non siamo stati capaci di chiuderla e risolverla, sicché, oggi, non ci serve a nulla prendercela con i francesi e i brasiliani. Dobbiamo, semmai, chiudere l’infetta piaga emergenziale e riformare la giustizia rendendola normale. Come nel resto del mondo civile.

Anche Pietrostefani, se è per questo, ha subito un processo ingiusto (assoluzione annullata a causa di motivazioni contraddittorie), ma la cosa più fessa del mondo è discutere oggi come se quel processo fosse aperto. Invece di cambiare musica continuiamo la guerra interna e nascondiamo i detriti esterni: di Battisti non possiano tacere, perché Lula ci ha mollato uno sventolane in faccia, ma di Pietrostefani e altri facciamo finta che neanche esistano.

E torniamo a Battisti (aggiungendo tra parentesi che è del tutto ovvio che si voglia far scontare la pena a questa feccia assassina). E’ stato protetto dai francesi, ora lo è dai brasiliani. Credete che accada per la sua bella faccia, o per i suoi romanzetti? Certo, lo difendono dei meschini che si credono intellettuali, pertanto autorizzati a dire sfondoni senza confini, ma quel che accade lo dobbiamo al coincidere della nostra cattiva fama giudiziaria, della nostra incapacità di porre, diplomaticamente, il problema in modo corretto, e del fatto che francesi e brasiliani fanno affari insieme, nel settore militare, cercando di tenerci fuori dalla porta. Noi, del resto, nel mentre facciamo ricorso alle corti internazionali (immagino per conquistarci il diritto di scarcerare Battisti, come abbiamo fatto cuoi i suoi fetidi colleghi, coperti da intellettuali nostrani che parlano del “pentimento” come fosse una categoria del diritto), c’industriamo a tentare d’arrestare i vertici dell’industria meccanica e militare. Provate a pensarci, e provate a capire l’effetto che fa, dall’estero, un caso come quello di Silvio Scaglia, che rientra volontariamente per farsi interrogare ed ancora al gabbio, da presunto innocente.

Certo, quella di Battisti è una vergogna. Lo è anche quella di Pietrostefani. Ma lo è di più un Paese che pur di non affrontare le corporazioni, pur di non mettere ordine al proprio interno, pur di non fare i conti con la propria storia, è disposto a farsi umiliare in mondovisione, pestando i piedi per inutile e impotente rabbia.

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