venerdì 21 gennaio 2011

La procura dà i numeri. Davide Giacalone

E va bene, siamo un Paese incivile, facciamo i processi in piazza e ce ne freghiamo delle leggi. Nessuno che abbia sale in zucca crede più nella giustizia, ma ciascuno può cogliere le opportunità che sorgono dal suo disfacimento. Ad esempio: telefonare ai protagonisti di un’inchiesta, alla gente intercettata, e chiedere chiarimenti e particolari. Magari si può chiamare solo per insultare, o, più caritatevolmente, per manifestare solidarietà. I numeri di telefono? Non c’è problema, li fornisce la magistratura, come tutto il resto del materiale nel quale rotolarsi con guardonesca lussuria.

I numeri possono essere utili anche nel caso si sia depressi e solinghi, senza neanche avere il privilegio di conoscere direttamente Lele Mora e la sua prestigiosa agenzia. Sebbene, occorre riconoscerlo, in questo modo la procura fa concorrenza sleale a quotidiani come il Corriere della Sera, che monetizzano la diffusione di numeri personali e di agenzie intente a intessere “relazioni sociali”, senza beninteso, che ciò abbia nulla a che vedere con il mercato della prostituzione. Magistrati disintermediatori, una chicca.

Siccome tale modo d’amministrare la giustizia mi fa ribrezzo, neanche leggo i testi delle intercettazioni. Rifiuto d’allinearmi alla barbarie. Ma mi hanno inviato i documenti, scaricati dalla rete e non sottratti nottetempo in procura, facendomi osservare che accanto ai nomi della fauna parlante c’è, puntualmente, il numero di telefono. Non volevo crederci e ho controllato: è vero. Gente non indagata (e se anche lo fosse, non cambierebbe nulla) di cui è gettata sulla piazza non solo la vita, ma anche l’indirizzo e il numero di telefono. Il tutto allo scopo, ufficiale e mendace, di documentare la necessità di effettuare una perquisizione, laddove, all’evidenza, la richiesta è totalmente inutile, perché dopo questo pandemonio, ammesso che ci fosse qualche cosa da perquisire e acquisire, a questo punto non c’è più. Quindi, inutile essere ipocriti, falsi e bugiardi, lo scopo era uno solo: imbandire, subito, il processo in piazza.

A questo punto, allora, posto che la maggioranza politica non ha la lucidità e la forza di riformare la giustizia, la minoranza di sinistra è schiava del peggiore giustizialismo, e quelli che amano il diritto e le garanzie parlano, da anni, con il muro, non resta che prendere atto della realtà e cercare di razionalizzarla: scriviamo il codice del processo incivile, descriviamo il rito dell’udienza in cortile. L’avviso di garanzia è sostituito con la notifica di sputtanamento (absit iniuria verbis). L’indagato viene inizialmente sbudellato in pubblico, a cura di un pubblico ministero nei confronti del quale non si può usare il medesimo sistema, perché, in quel caso, s’incorre nel reato di “macchina del fango”. Sicché il pm può accusarti di furto essendo ladro, di turbe psichiche essendo pazzo, di perversioni sessuali praticando il genere anche in toga e ai giardinetti (roba vera, non crediate che stia inventando). Il pubblico accorso è tenuto ad un “ooooooh” di stupore e ad una smorfia d’indignazione. Le mamme copriranno gli occhi dei pargoli.

Il modo in cui sono condotte le indagini, senza lesinare in intercettazioni e buchi delle serrature, offre la possibilità di ricorrere a competenze e professionalità esterne. Uno come Fabrizio Corona, ad esempio, lo vedo messo bene. Non solo porta anche le foto, ma, all’occorrenza, e seppure con rammarico, è pronto a pagare per gli errori commessi. Laddove, com’è noto, le toghe sono, a ciò, corporativamente riluttanti.

A quel punto la parola passa alla difesa, che non sosterrà l’innocenza dell’indagato, tanto è inutile, perché nessuno crede minimamente nella sentenza, quindi si concentrerà nel prenderne le parti innanzi all’unico giudizio che conta, quello dell’audience: che cacchio volete? perché, voi non fate lo stesso? L’efficacia dell’arringa si misurerà con l’imbarazzo dei convenuti. Se in molti faranno finta di rispondere al telefono e si allontaneranno dalla piazza giudiziaria, è segno che l’avvocato ha fatto centro. Se il cliente coltiva vizi minoritari, ci dispiace: è fottuto.

I giornali, naturalmente, daranno ampio spazio all’unica cosa capace di divertire: le accuse. Dopo di che, come si diceva all’inizio, grazie alla portentosa innovazione della procura di Milano, ciascuno potrà telefonare ai coinvolti, anche non indagati, in modo da farsi un’idea più precisa. Anzi, suggerisco che l’intera faccenda sia sponsorizzata dai gestori di telefonia mobile, i quali vedranno crescere il fatturato.

Qui, attenti, arriva l’innovazione: basta con l’andazzo turpe fin qui in voga, non è giusto che dopo il clamore delle accuse e il colore delle prime difese si passi tutto al dimenticatoio. No, se in piazza è cominciata, in piazza deve finire. La “P3”, ad esempio, che fine ha fatto? E Ottaviano Del Turco? E’ doveroso interessarsi alla sorte di ciascuna storia, accompagnandone i protagonisti nella vecchiaia. Non è giusto essere accusati in piazza e poi assolti in un angolino buio, sottovoce, con il diritto di comunicarlo solo agli intimi. Insomma, siamo seri, se si trova lo spazio per ospitare in televisione un Francesco Nuti che piange a dirotto e sbava è bene che, in nome della civiltà e della trasparenza, tornino sullo schermo le vite massacrate dalla malagiustizia, come anche gli assassini che se la godono ai tropici, pronti a farci la morale.

Quel che sostengo, insomma, è che data per assodata la degradazione incivile del diritto trasformato in rovescio, almeno si sia coerenti e si trasmetta lo spettacolo fino in fondo. Così a qualcuno verrà in mente che, forse, non sarebbe così male un sistema nel quale chi accusa è responsabile di quel che fa e di quel che spende, e chi è accusato, se colpevole di reati reali e gravi, si accomodi a scontare la pena.

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