lunedì 17 settembre 2012

Note sulla Costituzione - VII La salute. Gianni Pardo

  

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Art. 32 – Lo Stato italiano, per come lo vedevano i nostri costituenti, doveva essere una sorta di educatore, di padre amorevole e perfino di tenera madre. Non è strano che essi l’abbiano immaginato trepidamente preoccupato della nostra salute. Scrissero infatti, ottimisticamente (art. 32): «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti».
Bella formulazione che tuttavia non riesce a sfuggire alla retorica e al linguaggio immaginifico. Che senso ha dire che la salute è un “fondamentale diritto”? La salute sarà un fondamentale interesse, magari una fondamentale speranza e perfino un fondamentale vantaggio, se la si ha: ma un diritto? A chi ricorrere, se non si ha? Naturalmente i costituenti, ancora una volta, non parlavano in termini giuridici. Intendevano, piuttosto che un diritto alla salute, un diritto a quelle cure che la salute possono assicurare, o almeno migliorare. Ma anche in questo caso: gratuitamente? Perché se le cure non sono gratuite, neanche questo diritto esiste. E se sono a pagamento (anche in parte) si ha tanto diritto ad ottenerle quanto si ha il diritto di ottenere il cono gelato che si è pagato alla cassa.
L’ambizione era forse quella di offrire gratis tutto a tutti ma l’esperienza ha mostrato che la Repubblica questa generosità non se la può permettere. Ha per esempio provato un paio di volte ad abolire il contributo per i farmaci ed ha dovuto fare marcia indietro: perché la gente sprecava i medicinali e il costo diveniva insostenibile. Insomma ci si è scontrati con la realtà.
La regola del buon senso dice che tutti devono essere assicurati e che tutti devono poi quanto meno contribuire alle spese per le loro cure: solo questo permetterà alla sanità di Stato di sopravvivere, pur rimanendo sempre deficitaria. Le stesse cure gratuite agli indigenti devono essere concepite solo in caso di necessità, e in ospedale. Per non dire che rimane sempre il problema di determinare chi sono gli indigenti. Insomma “il diritto alla salute”, come altri famosi “diritti” della nostra Legge Fondamentale, non esiste.
Il secondo comma «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Che nessuno, salvo il caso del pazzo furioso, debba subire cure mediche non volute, è giusto. Ma come mai non si permette che una persona normale rifiuti preventivamente l’accanimento terapeutico o la nutrizione forzata, nel caso rimanga in coma irreversibile? Come mai non si permette l’eutanasia? Come mai non si considera doveroso il rispetto del cittadino quando vuole decidere della propria vita? Questo non oltrepassa i “limiti imposti dal rispetto della persona umana”? Se dal punto di vista giuridico e morale è sacrosanto il diritto alla vita, come mai non si sancisce anche il diritto alla propria morte? La legislazione è fondamentalmente un mezzo per regolare i rapporti fra gli uomini, non il modo come ciascuno deve comportarsi con sé stesso, e queste norme scavalcano un limite del diritto: la sua fondamentale “alterità”.
Le difficoltà che le leggi italiane hanno frapposto all’esercizio dei poteri sul proprio corpo – pure teoricamente sanzionati dalla Costituzione – non dipendono da motivi giuridici ma dall’idea (cristiana) che l’uomo non può disporre della vita che gli ha dato Dio. Questa rispettabile dottrina appartiene però solo ai credenti ed è ingiusto applicarla ai non credenti. Fra l’altro quando già si permette una pratica, come l’aborto, che riguarda, oltre la donna, un altro essere umano, se pure in fieri.
Ancora una volta la mentalità della società prevale sul diritto. Ecco perché la Gran Bretagna non ha una Costituzione. Gli inglesi, gente pragmatica, hanno capito prima di altri che quella Carta è di fatto il riassunto del livello sociale e giuridico raggiunto da una nazione. E dunque è inutile scriverla. Se un certo principio (il divieto dell’eutanasia) è sentito come giusto, sarà applicato anche se non è inserito in un testo magniloquente. E se non è sentito come giusto, anche se è inserito in quel testo, non è applicato. Per esempio in Italia le regole per lo sciopero non sono state applicate per più di quarant’anni. (il Legno storto)

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