lunedì 29 luglio 2013

Dagherrotipo d'Italia. Davide Giacalone

I redditi dei ministri sono un dagherrotipo d’Italia. Non il color seppia della nostalgia, ma un sentore d’arretratezza. L’Italia al governo è quella statale e burocratica. Quella che ancora corre, compete e vince non c’è. Potrebbe anche andare bene, se fosse una distinzione dei ruoli e una rappresentanza delegata degli interessi vitali. Invece è la mera prevalenza della macchina statale sulla pur esistente energia vitale.


Vanno presi in considerazioni tre aspetti. Non m’interessa qui valutare la correttezza delle dichiarazioni (taluni l’hanno messa in dubbio). Considero scontato (spero) che nessuno abbia mentito. Né interessano qui i nomi e le quote di reddito, facilmente rintracciabili. E’ l’insieme a fornire il ritratto interessante.

1. I ministri “ricchi” sono gli statali. I redditi più alti sono dichiarati da burocrati e magistrati, che hanno fatto con eccellenza e merito il loro mestiere, ma sempre a ridosso della spesa pubblica. Esclusa l’ipotesi che altri colleghi abbiano dichiarato il falso, ciò statuisce che il modo migliore per diventare ricchi e potenti consiste nel farsi assumere nella pubblica amministrazione. Sconsolante.

Si badi: i ministri sono burocrati e magistrati giunti al più alto livello della carriera, quindi pure dello stipendio (o della pensione), ma il criterio vale anche per i livelli più bassi: un impiegato pubblico gode di maggiore sicurezza rispetto a uno privato, mentre i suoi redditi, negli anni della crisi e nel decennio che l’ha preceduta, sono cresciuti di più. E più dell’inflazione. Ci sono mestieri pubblici che vanno premiati, da quello degli insegnanti a quello degli infermieri, ma i soldi sono stati distribuiti senza alcuna valutazione del merito individuale. Un cattivo esempio.

2. I parlamentari vivono per la quasi totalità dell’emolumento parlamentare. Va bene, perché se fai seriamente e a tempo pieno quel mestiere è difficile che ti rimangano spazi per coltivare altre attività. Qui, però, varrebbe la pena di allargare l’obbligo di dichiarazione e fornire una serie storica (io, come tutti quelli che pagano le tasse, sono in grado di farlo in poche ore, giusto il tempo di recuperare le dichiarazioni degli ultimi 5, 10 o 20 anni, e se fossi preso da terribili amnesie ci sarebbe l’Agenzia delle entrate pronta a soccorrermi). Ciò perché se si tratta di persone che sempre vissero di politica è segno che neanche loro hanno mai sperimentato l’ebrezza del lavoro in un mercato aperto alla concorrenza.

3. Nulla di male a essere nullatenenti. Ma è strano che, in un Paese di proprietari di case, si arrivi in cima alle stanze del potere essendo riusciti a non costruire o accumulare nulla. Può darsi siano francescani, ma è più probabile che abbiano diversamente intestato i beni. Regolare, spero, ma da dichiarare.

Dal dagherrotipo si passi al digitale e instagram, il che comporta anche un sistema fiscale meno punitivo per il rischio e il merito. Ciò non comporta punire le mezze maniche, ma neanche favorire le mezze cartucce.

Pubblicato da Il Tempo

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