martedì 2 luglio 2013

E ci tocca pure difendere la Santanchè. Dino Cofrancesco


Se avessi avuto una qualche voce in capitolo come dirigente, iscritto, elettore ‘di riguardo’ del PDL, non avrei mai votato per la candidatura di Daniela Santanché alla vicepresidenza della Camera. Non ho nulla contro la ‘pitonessa’ (oltretutto, ancora una gran bella donna) ma non mi piace il suo stile aggressivo, la sua spregiudicata franchezza fatta volteggiare come una scimitarra, le sue posizioni da ‘falco’ in un contesto politico-parlamentare che richiede molta prudenza e nervi saldi.
 
E tuttavia le riserve avanzate nei confronti della sua elezione rappresentano, a mio avviso, il nadir toccato in Italia dall’assoluta assenza di senso dello Stato e dalla persistente, inquietante, mancanza di rispetto delle istituzioni. Un’autentica vergogna, se si pensa che, grazie alle strategie di Pierluigi Bersani (che passerà alla storia come l’Attila del postcomunismo italico – con la differenza, però, che Attila conquistò un impero mentre lui ridusse in pezzi quel che ne restava –, i parlamentari hanno portato alla Presidenza della Camera un’esponente di SEL, come Laura Boldrini (altra gran bella donna) la cui ‘mente’ non si differenzia molto da quella del ‘compianto’ Carlo Giuliani, il giovane antagonista che, nel G8 di Genova, ci rimise le penne mentre dava l’assalto, con un estintore, a una camionetta di agenti dell’ordine; e alla Presidenza del Senato, uno come Pietro Grasso che delle qualità attribuite dal Segretario fiorentino al grande politico, «la golpe e il lione», sembra possedere solo la prima. Inoltre i parlamentari del PD, ai quali ripugna la Santanché, hanno eletto come capogruppo al Senato Luigi Zanda, forse uno degli uomini più faziosi (irritanti e ideologicamente ottusi) in circolazione nel nostro paese.
 
Quel che è peggio, tuttavia, a parte gli eletti e gli aspiranti, è la cecità mostrata dalla (attuale) sinistra e dai suoi giornali per quel che riguarda le ‘esternazioni’ di cariche istituzionali che pur avendo, per legge, solo il compito di regolare il ‘traffico’ delle due Camere, non rinunciano a dire la loro sui massimi problemi di politica interna e internazionale. In nessuna democrazia del mondo occidentale si sono visti gli speaker della Camera (di cui forse, nella maggior parte dei paesi, si ignora persino il nome) così presenti sui teleschermi e così pronti a pronunciarsi sull’economia di mercato, sulla politica dell’immigrazione, sulle riforme istituzionali, sulle coppie di fatto etc. E’ come se i vigili urbani si trasformassero improvvisamente in opinion maker con diritto a intervenire e di dare consigli non solo sulle zone pedonali e sui semafori ma altresì sull’urbanistica, sulla politica dei trasporti, sulle fonti energetiche, sui ‘modelli di sviluppo’. Si tratta di un’anomalia, per la verità, che trovò in Gianfranco Fini la sua espressione più sconcertante e che, trattandosi di un ‘rinnegato’ dal Cavaliere, incontrò il plauso di tutta l’opposizione di centro-sinistra – un episodio che fa pensare ai preti progressisti, alla don Andrea Gallo, che possono contare sugli applausi a scena aperta delle platee progressiste ma che non riescono a portare a Dio neppure una sola di quelle ‘anime belle’ (che poi sarebbe la loro missione o no?) da cui vengono tanto osannati.
 
Non potendo disporre dei soldi e delle televisioni di Berlusconi, Fini pensò bene di utilizzare la sua carica istituzionale di Presidente della Camera facendo di Montecitorio il contraltare del vicino Palazzo Chigi (v. il saggio di Paolo Armaroli, Gianfranco Fini e il suo doppio, Ed. Pagliai 2013). Fu lo zenit di quell’uso privatistico delle istituzioni da sempre presente nel dna di destra e sinistra e che ancora oggi porta molti intellettuali militanti a giustificare la colonizzazione politica della RAI con l’argomento no comment: se un partito e uno schieramento politico e culturale non hanno le ingenti risorse massmediatiche di Mediaset, è giusto che compensino la loro inferiorità piazzando i loro uomini negli studi e nei palinsesti del servizio pubblico. Già, del ‘servizio pubblico’, che non importa se diventa poi ‘servizio privato’ di un settore parlamentare (obbligando quindi il contribuente a sostenerne le perdite, pur se appartenente a una diversa area elettorale), dal momento che si tratta di compensare le ingiuste ripartizioni dei beni di questo mondo operate dalla dea Fortuna (che, come si sa, per definizione, è ‘cieca’). In base a questa forma mentis, se papà non mi lascia uno yacht, una volta divenuto assessore, me lo procuro mettendolo sul bilancio della Regione – stava per accadere anche questo in una zona ‘virtuosa’ dello stivale.
 
(Poiché la madre dei cretini è sempre gravida, non vorrei essere equivocato: non sto sostenendo che il controllo privato di tre canali televisivi non ponga il loro proprietario in una posizione privilegiata; sostengo, invece, che non si rimedia a tale ennesima anomalia italiana, dando in consegna istituzioni che sono di tutti a una sola parte ma favorendo il pluralismo dell’informazione nei modi consentiti da una autentica economia di mercato e dalla rete dei diritti che tutelano le iniziative e le libertà dei cittadini).
 
Alla luce di queste considerazioni, si capisce bene l’ostilità per la Santanché. E se, divenuta vicepresidente della Camera, si mettesse anche lei a ‘esternare’, a ‘dire la sua’ sul programma di governo di Letta, sulle sentenze del Tribunale di Milano (Tempio dell’Imparzialità e dell’Esemplare Amministrazione della Giustizia), sul Monte dei Paschi di Siena? Siamo alle solite, nel nostro paese, non sono le ‘forme’ oggetto di venerazione e tabernacolo dei ‘valori comuni’, bensì i ‘contenuti’. Una scrittrice d’avanguardia poteva definire, anni fa, Condoleezza Rice «una scimmietta nera ammaestrata» senza far vergognare nessun ‘compagno’ giacché, al di là del linguaggio politicamente scorretto, il segretario di Stato di Georg H. W. Bush era ‘oggettivamente’ al servizio del capitalismo imperialista statunitense. Stiamo a sottilizzare sulle forme (linguistiche) quando ci troviamo dinanzi a ‘contenuti’ (etici, politici, sociali) massicci come l’Everest?
 
Un conto è quello che dice la Boldrini nelle tantissime cerimonie pubbliche nelle quali è chiamata a far da madrina, un conto ben diverso è quello che potrebbe dire la Santanché: l’esternazione, come la libertà di parola, è sacra solo se se ne fa buon uso. Intelligenti pauca, sia detto a quei quattro gatti liberali che si ostinano a pensare che l’ombra dei principi possa mettere tutti (amici e nemici) al riparo dalle calure soffocanti nei conflitti politici che continuano a lacerare la nostra povera Italia alla deriva.
 
(LSBlog)

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