domenica 27 ottobre 2013

La carcerazione preventiva è una tortura. Alessandro Spanu


Il caso della detenuta in attesa di giudizio Giulia Ligresti (e, ça va sans dire, di migliaia di detenuti nelle sue stesse condizioni, ma meno celebri) costretta obtorto collo a patteggiare per uscire dalla galera è l’ennesima conferma che la carcerazione preventiva non solo è un atto di ostilità nei confronti dei cittadini, come sosteneva Thomas Hobbes, ma è diventato uno strumento di tortura per estorcere per tormenta delazioni e confessioni dagli indagati.

Il caso di Giulia Ligresti, peraltro in galera per un reato economico, nonostante le esigenze cautelari siano tutelate anche e soprattutto dal sequestro dei beni (ma questo è un altro discorso e non entro nel merito della vicenda) ripropone, per l’ennesima volta non solo il problema dell’abuso della carcerazione preventiva (sono 26000 i “condannati preventivi” per dirla col titolo del pamphlet di Annalisa Chirico) ma anche quello del patteggiamento, un istituto mutuato a sproposito dal sistema americano, che, come vedremo, porta ad uno scambio perverso di confessioni e delazioni in cambio di una cospicua riduzione della pena.

Per quanto concerne la carcerazione preventiva (o, per dirla coi termini eufemistici del nostro legislatore, custodia cautelare) come è purtroppo noto è lungi dal limitarsi a misura eccezionale per impedire l’inquinamento delle prove o la fuga dell’imputato.

Peraltro anche in questi casi “sbattere in galera” i sospetti pare eccessivo, posto che la tecnologia oggi offre strumenti per controllare a distanza le persone, dalle intercettazioni ai famosi e costosissimi braccialetti elettronici (per i quali lo Stato, se li avesse comprati da Bulgari, avrebbe forse risparmiato) e atteso che nel mondo “globalizzato” di oggi è ben difficile una fuga senza lasciare tracce: anche qualora l’imputato fosse miracolosamente riuscito a nascondersi (magari dopo una plastica facciale e con una nuova identità) in un Paese per il quale non è prevista l’estradizione il diritto penale avrebbe comunque raggiunto l’ obbiettivo di neutralizzarlo e metterlo in condizioni di non nuocere.

Ma, in realtà, oggi la carcerazione preventiva è non tanto “pena anticipata”, misura di prevenzione e di difesa sociale per evitare che in futuro una determinata persona, ritenuta socialmente pericolosa, commetta reati (ovvero: prima si punisce e solo dopo si processo o si punisce processando, visto l’effetto sputtanante dell’essere arrestato)quanto, piuttosto, come ho detto, strumento di tortura per intimidire e pressare gli indagati costringendoli a collaborare con gli inquirenti.

Ricordate i magistrati di Milano che nell’estate 1994 fecero un appello televisivo a reti unificate contro il famigerato “Decreto Biondi” che, secondo loro, limitando il carcere prima della condanna, avrebbe reso più difficili, se non impossibili, le loro inchieste?

In questo modo i peggiori metodi “di polizia” come “torchiare” i sospetti (che vergogna l’interrogatorio senza difensore, tutt’ora consentito dal nostro codice di procedura penale!) e raccogliere e premiare le “spiate” entrano di diritto nel processo penale, che si riduce a rapporto di forza fra il pubblico ministero, dominus del processo e l’imputato, indotto alla confessione o, peggio, alla delazione, dal timore di restare in carcere e dalla speranza di una ritrovata libertà, preferendo patteggiare sùbito una pena ridotta in cambio delle collaborazione con gli inquirenti, piuttosto che attendere una eventuale assoluzione fra 10 anni (magari aspettata in carcere!)

E’ questo l’aspetto di criticità dell’istituto del patteggiamento, un accordo fra accusa e indagato che permette di “saltare” il dibattimento ed avere uno notevole sconto di pena (ridotta fino ad un terzo) scimmiottamento del plea bargaining americano, dimenticando però che nel sistema statunitense non esiste l’obbligatorietà dell’azione penale, che è a discrezione del prosecutor, il quale può anche concedere l’immunità all’indagato in cambio delle sue dichiarazioni, non essendo il procuratore un funzionario statale collega del giudice, ma sostanzialmente un “politico” eletto dai cittadini oppure nominato dal Governo (spesso la candidatura o la nomina sono il primo passo di una carriera politica: pensiamo a Rudolph Giuliani).

Col patteggiamento viene stravolto il principio di causalità e proporzionalità fra reato e pena, posto che la misura di quest’ultima non dipenderà più dalla gravità del reato commesso ma dal fatto che si “collabori” o meno con gli inquirenti: nel confronto impari con l’accusa cosa può dare l’indagato, magari in carcere e quindi in condizioni di sudditanza psicologica ed impossibilità materiale di organizzare la propria difesa, per ottenere il patteggiamento e la conseguente riduzione di pena, se non la propria dichiarazione di colpevolezza o, peggio, la chiamata di correo, magari infondata, di altre persone?

Per tornare alla carcerazione preventiva, pena senza condanna, non posso non ricordare che essa contrasta palesemente con la presunzione di innocenza, principio in base al quale nel processo penale l’onere della prova incombe sempre e solo sull’accusa, che deve dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio la colpevolezza dell’imputato, il quale è considerato non colpevole fino a sentenza definitiva di condanna.

Il già citato Thomas Hobbes, a torto presentato come teorizzatore dello stato totalitario, è, a leggerlo, molto più garantista di certi nostri giudici dai quali non vorrei mai essere giudicato (penso in particolare a quel consigliere di Cassazione secondo cui la presunzione di non colpevolezza semplicemente non esiste perché “non ci sono innocenti, ma solo colpevoli che attendono di essere scoperti” e, perciò, siamo tutti in “libertà provvisoria”!)

Infatti il filosofo inglese considerava come “contrario alla legge di natura qualunque danno sia fatto soffrire ad un uomo prima che la sua causa sia ascoltata, oltre ed al di sopra di quanto sia necessario ad assicurarne la custodia”e si chiedeva “ come si possa parlare di delitto, senza che sia pronunciata sentenza, e come sia possibile, sempre senza una precedente sentenza, infliggere una pena”.

Infine mi chiedo: perché non si abolisce la carcerazione preventiva e non si consente agli indagati un processo a piede libero in modo che possano realmente difendersi in condizioni di parità con l’accusa? (the FrontPage)

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