martedì 3 maggio 2011

Un comandante dietro le quinte. Christian Rocca

George W. Bush lo voleva «dead or alive», vivo o morto, ma ha lasciato la Casa Bianca due anni fa senza aver compiuto la missione, senza aver catturato o ucciso l'ideatore degli attacchi dell'11 settembre.

Prima di lui, Bill Clinton aveva esitato tre volte a schiacciare il bottone e Osama bin Laden, lo sceicco saudita che aveva dichiarato e praticato la guerra santa contro l'America già dal 1998, era riuscito a scappare e poi a progettare l'inaudita strage nel cuore dell'America.
Tremilacinquecentodiciannove giorni dopo quel martedì mattina di 11 anni fa, c'è riuscito Barack Hussein Obama, il 44° presidente degli Stati Uniti, quello giovane e inesperto, il politico sospettato da improbabili e incontentabili dietrologi di essere l'Anticristo, un impostore musulmano, ineleggibile perché nato all'estero. Joe Biden e Hillary Clinton, oggi suoi principali collaboratori, ma allora avversari alle primarie democratiche, nel 2007 e nel 2008 dicevano fosse «ingenuo», uno che non avrebbe avuto la spina dorsale per affrontare una crisi internazionale. E invece "it took Obama to get Osama", ci è voluto Obama per prendere Osama, come recitavano le scritte sulle magliette messe in vendita ieri a Washington.
Obama è riuscito a uccidere Osama, nonostante le critiche assurde della destra lo dipingessero come un leader "debole" nei confronti dei nemici dell'America (in Italia, Maurizio Gasparri all'indomani dell'elezione presidenziale disse che al-Qaida era felice del risultato). Non meno sballate sono state le contestazioni della sinistra liberal secondo cui avrebbe tradito gli elettori, le speranze e il sogno per il solo fatto di aver continuato la politica di sicurezza nazionale del suo predecessore.
I critici di Obama non hanno ascoltato Obama, non hanno letto con attenzione le sue proposte. Non hanno considerato che sulle questioni di sicurezza nazionale i presidenti degli Stati Uniti fanno i presidenti degli Stati Uniti, non gli operatori sociali. Gli avversari di Obama hanno commesso l'errore di proiettare sulla figura vuota del giovane presidente le proprie paure e le proprie illusioni, perdendo però di vista la realtà.

Obama invece ha ucciso Osama, guidando un'operazione militare e d'intelligence iniziata quattro anni fa a Guantanamo (e la cosa dovrebbe far riflettere i detrattori del supercarcere), prendendosi rischi, aspettando il momento giusto per agire, sapendo che un errore avrebbe posto fine alla sua presidenza. Una volta alla Casa Bianca, a parte qualche concessione retorica iniziale, non ha smantellato l'apparato di sicurezza post 11 settembre costruito da Bush. Il suo gabinetto di guerra, generali compresi, è lo stesso del precedente. Guantanamo è ancora aperto. I detenuti più pericolosi resteranno in carcere a vita, senza processo. Gli altri saranno giudicati con le corti speciali militari volute dal suo predecessore. In Iraq ci sono ancora 50mila uomini e il resto è rientrato secondo il calendario stabilito da Bush e dal Governo iracheno.

In Afghanistan il numero di boots on the ground, di stivali americani sul terreno, è triplicato rispetto ai tempi di Bush. Obama ha esteso in modo sistematico le operazioni militari in Pakistan, terra ospitale per talebani e guerrasantieri islamici.
Da quando è alla Casa Bianca ha autorizzato 226 attacchi missilistici sul Pakistan, provocando oltre 1.700 morti. Una guerra segreta, coperta, "sporca" si sarebbe detto un tempo e con altri presidenti. Una guerra che cambia la natura, la forma e la strategia dell'apparato militare e spionistico americano. L'operazione bin Laden ha consolidato la militarizzazione della Cia e la specializzazione del Pentagono in azioni coperte guidate dal Joint Special Operations Command. Il generale David Petraeus alla Cia e l'ex direttore Leon Panetta al Pentagono sono il sigillo obamiano su questa trasformazione.

Obama non ha tradito le promesse elettorali, semmai le ha esaudite. Chi ha seguito la sua campagna elettorale sapeva che avrebbe inviato più truppe in Afghanistan e preteso un maggiore impegno militare in Pakistan. Nel corso di uno dei dibattiti presidenziali, quello dell'ottobre 2008 a Nashville, Obama disse che se da presidente avesse individuato il nascondiglio di bin Laden e il Governo pachistano non fosse stato in grado o non avesse voluto prenderlo, lui non avrebbe rispettato la sovranità nazionale pakistana e non avrebbe atteso un lasciapassare internazionale, ma avrebbe deciso un intervento militare americano unilaterale, ad hoc, dentro i confini del Pakistan: «Se non lo fanno loro, dobbiamo farlo noi», disse in quell'occasione prendendosi i rimbrotti del candidato repubblicano John McCain. Domenica, ad Abbottabad, è successo esattamente quanto previsto: i pakistani lasciavano bin Laden indisturbato e Obama ha inviato le squadre speciali a pochi chilometri dalla capitale, a un passo dalla West Point del Pakistan.

L'efficacia della leadership di Obama è evidente, per quanto esercitata come in Libia "from behind", da dietro le quinte. Il presidente fa le stesse cose di Bush, senza scatenare proteste delle piazze occidentali e arabe, senza mobilitare le masse pacifiste, anzi addirittura vincendo il Nobel per la pace. (Sole 24 Ore)

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