mercoledì 20 novembre 2013

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20 novembre 2013

I processi aperti dal dottore Ingroia proseguono il loro percorso nelle aule giudiziarie anche in assenza del loro artefice primo. Almeno quelli che non si sono chiusi in istruttoria per mancanza di indizi. Fra quelli giunti a sentenza di primo grado spicca il processo per il sequestro e l’omicidio del giornalista Mauro De Mauro. Il dibattimento si è tenuto 40 anni dopo i fatti. Un unico imputato, Totò Riina. Memorabile la requisitoria di cui Ingroia tenne una sorta di prologo nel quale spiegò che, dopo più di 5 anni fra istruttoria e dibattimento, non aveva ancora ben chiaro il movente del delitto. Tentò un tecnicismo e citò l’articolo del codice in cui sta scritto che il movente non è necessario per la condanna se l’imputato è colto in flagranza. Fece una pausa ad effetto per poi ammettere lealmente “Effettivamente non è questo il caso”. Meglio di Woody Allen. Cominciò allora un complicato discorso il cui tema era “la convergenza dei moventi” e il succo era che De Mauro secondo lui era stato ucciso per aver scoperto che la mafia era implicata nel golpe Borghese ma non c’erano prove e i familiari pensavano che invece c’entrasse la morte di Mattei, tesi privilegiata dai sostituti che svolsero la vera requisitoria. Non c’è da stupirsi dell’assoluzione di Riina. La corte però ritenne di infierire spiegando nelle motivazioni come la ricostruzione sul possibile mandante fosse comunque radicalmente sbagliata. Tutto ciò per dire che ieri il sostituto procuratore generale Patronaggio ha tenuto la sua requisitoria in appello. Si torna al golpe Borghese.
di Massimo Bordin@MassimoBordin

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