lunedì 4 novembre 2013

Italianità. Claudio Velardi


Se salgo su un treno o su un aereo, voglio che arrivi puntuale a destinazione e che – in cambio di un servizio dignitoso – si paghi il meno possibile. Se parlo a telefono, pretendo che la linea non cada sotto il primo ponte e che – sempre in cambio di un servizio dignitoso – si paghi il meno possibile. E così via.

Che a capo delle compagnie che mi forniscono i suddetti servizi ci siano imprenditori/finanzieri/manager italiani o stranieri non mi interessa per niente. Perché non conta niente. (Oddio, personalmente – data la mediocrità e la scarsa tempra morale dei nostri imprenditori/finanzieri/manager – tendo a fidarmi più degli stranieri, ma questo è un problema mio).

Ora vedo in Tv un funereo Mentana che si dispera perché perdiamo “pezzi di industria competitiva” (ma sa di che cosa parla, può l’ignoranza dei giornalisti raggiungere questi abissi?), e questi poveri, miserabili politici (Brunetta, Zanda, lo stesso Letta) che si rimpallano responsabilità come bambini.

E’ tutto così penoso. L’informazione pigra e conformista, che prende in mano la bandiera dell’italianità solo perché serve a fare il titolo “giusto”, senza sapere che nel mondo globale dell’impresa e della finanza non esiste da decenni nessuna bandiera nazionale. E che comunque – per la cosiddetta immagine di questo disgraziato paese – vale enormemente di più il nome italiano di Armani alla guida di un impero mondiale che il presidio di un’azienda decotta come Alitalia, che noi cittadini abbiamo pagato in questi anni cento volte più dell’Imu che ci hanno (fintamente) restituito.

Così come fanno sinceramente pena i politici che non sanno fare altro che prendersela con i rispettivi nemici. L’Alitalia è colpa di Berlusconi, Telecom di D’Alema. E il gioco è fatto. Non importa che siano storie diverse, momenti diversi, proprietà diverse. Una, società pubblica, assistita, ipersindacalizzata, che ha mancato mille occasioni utili per fare alleanze internazionali, perché la politica doveva continuare a tenerci le mani sopra. L’altra, società privata, ugualmente ipersindacalizzata, che ha continuato ad agire negli anni come se fosse pubblica, mantenendo il monopolio della rete, cercando e ottenendo protezioni dalle autorità statali invece di lanciarsi sul mercato, con tutti i rischi che il mercato comporta. Storie diverse, con un tratto comune: l’incapacità e la mancanza di volontà di confrontarsi con la concorrenza, l’assenza di una visione e di pratiche di internazionalizzazione. Responsabilità questa dovuta al carattere corrivo e di pura relazione dei capitalisti italiani.

In questo quadro di arretratezza culturale e di miserie politiche, la cosa che fa rabbia è che per un po’ questa gigantesca cazzata dell’italianità continuerà ad occupare giornali e talk show, facendo fare un ulteriore passo indietro ad un paese che avrebbe un disperato bisogno di sprovincializzarsi. Poveri noi.

(da www.claudiovelardi.com)

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