martedì 25 settembre 2007

Fermate il piano "contro" la casa. Marco Taradash

L’idea di Di Pietro.

Fermate Di Pietro! Dinanzi all’ultimo piano-casa proposto dal ministro delle Infrastrutture viene da pensare che è davvero uno strano Paese l’Italia, la quale dedica una quantità incredibile di energia a discutere delle bizzarrie di un comico volgarotto, simpatico e anche un po’ sprovveduto mentre sembra del tutto ignorare il disastro che l’ex-pm di Mani Pulite sta preparando, con il proposito di inserire una serie di misure riguardanti il disagio abitativo nella prossima legge finanziaria. In primo luogo, qualche cifra. Mentre dalle Alpi al Lilibeo si chiede di ridurre la tassazione, Antonio Di Pietro propone un pacchetto di misure che egli stesso valuta intorno agli 1,5-1,7 miliardi di lire. Si tratta di una cifra mostruosa che egli vorrebbe destinare sostanzialmente ad iniziative di tipo assistenziale: creando un fondo di sostegno agli affittuari, mettendo in cantiere nuovi quartieri-dormitorio, finanziando cooperative edilizie. Lungi dall’aver compreso che i problemi abitativi italiani sono conseguenza dell’assenza (o quasi) di mercato in tale settore, il ministro intende aggravare l’intervento pubblico.

Oltre a pesare gravemente sull’Italia produttiva, il piano prefigura conseguenze gravissime. Invitiamo allora Di Pietro a farsi un viaggetto a Parigi e a visitare un Paese che ben più dell’Italia ha investito nell’edilizia popolare. Si addentri un po’ nei quartieri HLM (habitation à loyer modéré) e – anche grazie alla sua esperienza da poliziotto – valuti un po’ qual è il decoro e la qualità della vita delle periferie parigine. Ebbene: quel disastro sociale, che periodicamente si converte in rivolte e violenze, è figlio di un’edilizia pubblica che ha finito per creare ghetti in cui i figli dei più derelitti conoscono solo bambini come loro. Nei decenni scorsi, per nostra fortuna, l’Italia ha investito assai meno in quella direzione. Ma dove l’ha fatto i risultati sono assai simili: come dimostrano alcune periferie di Milano o Napoli, di Bari o Roma. Anche se sono costate cifre da capogiro, le grandi aree dei quartieri ex Iacp sono state un fallimento proprio perché non sono affatto riuscite a dare quelle risposte al disagio per le quali erano state realizzate.

Poiché è ancora in tempo, Di Pietro farebbe bene a lasciar perdere il suo progetto e a dirigersi esattamente nella direzione opposta. Un progetto che voglia aiutare concretamente la povera gente sarebbe assai meno oneroso per i contribuenti e assai più efficace per i poveri. Al primo punto dovrebbe prevedere l’abolizione completa dell’Ici e dell’Irpef sulla casa, insieme ad ogni altro tributo che finisca per gravare sul costo reale delle abitazioni. In secondo luogo dovrebbe realizzare il superamento di quella tassa impropria che è il balzello riscosso dai notai in occasione di ogni transazione: se una coppia che compra casa potesse risparmiare le molte migliaia di euro che oggi consegna al notaio, è chiaro che la proprietà si amplierebbe con facilità. In terzo luogo, è necessario liberalizzare il mercato delle locazioni, dato che il sistema attuale induce molti a non affittare la seconda casa di proprietà, per timore di non poter rientrarne in possesso nel momento in cui essa dovesse servire al figlio o a qualche altro parente. Faciliti gli sfratti ed elimini ogni regolamentazione del settore e vedrà che molti appartamenti torneranno sul mercato, con la conseguenza che i canoni attuali finiranno per calare sensibilmente.

Non solo. Se volesse veramente aiutare quanti fanno fatica a trovare casa, pagare i mutui o sostenere l’onere delle locazioni, Di Pietro dovrebbe avere il coraggio di mettere in discussione l’apparato pianificatorio di stampo sovietico che grava sulle città italiane. Dovrebbe insomma avere il coraggio di contestare a voce alta i piani regolatori, difendendo la proprietà privata e quindi il diritto di ognuno a disporre dei propri beni (terreni inclusi) quando ciò non arreca danno ad altri. Restituire la piena proprietà delle aree ai legittimi proprietari, abilitati a costruire quanto vogliono, permetterebbe di superare il vincolismo attuale e farebbe crollare il costo delle aree, eliminando al tempo stesso quella costante fonte di corruzione che sono i piani regolatori. Per molti paesi e città, sarebbe la fine del dispotismo di quei geometri-assessori che arricchiscono loro stessi e i partiti di cui fanno parte spostando qualche riga e decidendo a loro piacere quali aree sono verdi, quali agricole e quali fabbricabili. Infine, Di Pietro dovrebbe privatizzare interamente le case di proprietà pubblica, utilizzando gli introiti per creare fondazioni locali incaricate di attribuire – anno per anno – un aiuto monetario a chi non ha i soldi per trovare casa. Queste fondazioni private dovrebbe essere gestite da chi volontariamente contribuisce ad incrementarne il patrimonio complessivo. C’è insomma bisogno di più libertà e responsabilità, perché se lo statalismo ha creato il disastro attuale, esso non può essere certo la soluzione ai problemi che siamo chiamati ad affrontare. (l'Opinione)

1 commento:

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie