martedì 18 settembre 2007

I veri tagli che servono. Pietro Ichino

L'anno scorso, quando s'incominciò a discutere dell'idea di ridurre la spesa pubblica accelerando il pensionamento di 100 mila dipendenti statali anziani e assumendo un giovane esperto di informatica ogni tre o cinque messi a riposo, il Presidente della Corte d'Appello di una grande città manifestò la propria netta disapprovazione. «Se mi togliete i cancellieri anziani — disse l'alto magistrato —, cioè i più esperti, quelli che possiedono i segreti e la memoria storica dell'ufficio, non vi illudete che io possa sostituirli in quattro e quattr'otto con degli sbarbini: sarebbe un grosso guaio! Volete ridurre gli organici del 5 per cento? Vi indico io chi licenziare, giovane o vecchio che sia, senza che nessuno poi ne senta la mancanza ».
Lo sfogo dell'alto magistrato metteva il dito nella piaga di un'amministrazione statale incapace di distinguere, tra i propri dipendenti, quelli che lavorano e quelli che non fanno nulla; tra i propri uffici, quelli utili e quelli inutili. Ma sottolineava anche un'altra cosa vera: vi sono molti casi nei quali la totale improduttività di un dipendente statale, o persino di un'intera struttura amministrativa, è evidentissima; casi in cui, dunque, non occorrerebbero sofisticate tecniche di valutazione per individuare la persona che andrebbe licenziata, l'ufficio che andrebbe chiuso, o drasticamente ridimensionato a vantaggio di quelli che mancano di personale.
Da queste considerazioni prendemmo lo spunto, un anno fa, per proporre che ciascuna amministrazione pubblica si dotasse di un organo di valutazione (peraltro già previsto dalla legge Bassanini del 1999, per lo più disapplicata), garantito nella sua indipendenza e guidato sul piano tecnico da un'autorità indipendente centrale, capace di individuare subito almeno i casi più evidenti di nullafacenza individuale o di inefficienza e improduttività di un'intera struttura: quei molti casi clamorosi, sui quali non può esserci discussione. Fatta questa prima «mappatura» dei casi più gravi, non sarebbe più utopistico pensare che possa essere licenziato chi con grande evidenza lo merita, a cominciare dai dirigenti di strutture totalmente improduttive; e sarebbe possibile, in queste strutture, vietare l'erogazione ai dipendenti di aumenti retributivi di qualsiasi genere. Ai rinnovi dei contratti degli statali il governo ha destinato quest'anno quasi quattro miliardi; quanto di questo denaro avrebbe potuto essere risparmiato se le strutture da chiudere o da ridimensionare drasticamente fossero state almeno escluse, come sarebbe stato logico, dagli aumenti contrattuali?
Certo, per funzionare a dovere un'amministrazione dovrà in futuro avere dirigenti ben motivati e capaci di provvedere efficacemente assai prima che si determinino i casi di nullafacenza o improduttività totale di cui stiamo parlando. Ma oggi siamo in una situazione eccezionale di emergenza, nella quale il governo si propone di sfoltire i ranghi statali per ridurre la spesa pubblica e al tempo stesso riqualificarla. Incentivando ad andarsene gli anziani in quanto tali, si rischia che se ne vadano soltanto gli anziani migliori, quelli che trovano facilmente qualcun altro per cui lavorare. Che cosa trattiene il governo dal dirigere, invece, le proprie forbici verso i casi assolutamente indifendibili?
L'opinione pubblica è ormai sensibilissima su questa materia; per ragioni di equità prima ancora che di efficienza. Se non sarà questo governo a voltar pagina in modo molto incisivo rispetto a decenni di inerzia, dei quali la politica porta una pesantissima responsabilità, su questo terreno si giocherà probabilmente gran parte della prossima campagna elettorale.(Corriere della Sera)

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