venerdì 3 dicembre 2010

Gli Ogm sono un bene pubblico. Parola dell'Accademia Pontificia delle Scienze. Alma Pantaleo

Dopo quindici anni di strumentalizzazioni ideologiche e corporative volte a confondere consumatori e opinione pubblica sulla pericolosità del cosiddetto “frankenstein food”, il Vaticano fa luce sul delicato e controverso argomento degli Ogm.

Con il documento “Transgenic Plants for Food Security in the Context of Development” – presentato due giorni fa in un incontro organizzato dai professori Peter Raven e Ingo Potrykus – l’Accademia Pontificia delle Scienze prende una posizione netta sulla questione degli organismi geneticamente modificati definendoli un “bene pubblico comune”, una forma di “solidarietà verso le presenti e le future generazioni”. Gli atti pubblicati qualche ora fa sono il frutto della settimana di studio organizzata dal 15 al 19 maggio del 2009 alla quale hanno partecipato 40 studiosi, sette dei quali accademici pontifici, fra cui l’allora presidente prof. Nicola Cabibbo. Alcuni nomi: Henry I. Miller della Stanford University, Chris J. Leaver dell’Università di Oxford, Konstantin Skryabin della Russian Academy of Sciences, Werner Arber dell’Università di Basilea .

Le conclusioni a cui è giunto il comitato accademico-scientifico mettono finalmente sul tappeto della discussione, con estrema schiettezza argomentativa, i nodi più importanti (nonché controversi) della questione. Primo fra tutti il fattore pericolosità degli organismi: nel documento si legge che “non vi è nulla di intrinseco, nell'impiego dell'ingegneria genetica per il miglioramento delle colture, che renderebbe pericolose le piante stesse o i prodotti alimentari da esse derivati del Sugli Ogm”, testimoniato dal fatto che da quando sono in circolazione non è stato riscontrato nessun caso che dimostri la nocività per i consumatori.

Altra argomentazione molto forte che viene sostenuta nel dossier sono i benefici significativi che si sono riscontrati in quei Paesi – Usa, Argentina, India, Cina e Brasile – dove le colture geneticamente modificate sono cresciute su grandi superfici. Se usati in modo opportuno, questi organismi non solo non ostacolano, ma addirittura favoriscono la biodiversità: “Occorre un impegno particolare per consentire ai contadini poveri dei paesi in via di sviluppo di accedere a varietà migliorate di colture geneticamente modificate che siano adatte alle condizioni locali”, si legge nel documento.

E, elemento non trascurabile, sono anche più ecologici se paragonati alle attuali pratiche agricole, tutto fuorché sostenibili, “come è dimostrato dall’enorme perdita di terreno agricolo superficiale e dall’applicazione di quantità inaccettabili di pesticidi”, che diventano obsoleti proprio grazie a molte varietà di Ogm. Ancora, il gruppo di lavoro rileva che “le valutazioni dei rischi devono prendere in considerazione non solo i rischi potenziali dell’uso di una nuova varietà di pianta, ma i rischi delle alternative nel caso in cui proprio quella varietà non fosse resa disponibile”.

Il documento della Pas individua anche un’altra criticità, puntando il dito sulle regolamentazioni degli Ogm che, in assenza di alcuna giustificazione scientifica, gonfiano enormemente i costi per l’autorizzazione al commercio. Questo mette in condizione di sostenere la ricerca sugli organismi geneticamente modificati solo le multinazionali di prodotti alimentari, che, però, concentrano i loro sforzi sulle colture che fanno profitto e non su quelle che, magari, alimentano i cosiddetti ‘poveri della terra’. Ma come ricordano due componenti del comitato accademico-scientifico che ha elaborato il dossier (Piero Morandini e Chiara Tonelli dell’Università degli Studi di Milano) “su 14 milioni di contadini che usano gli Ogm, ben 13 sono contadini poveri che, di anno in anno, aumentano i loro raccolti e scelgono di riseminare organismi geneticamente modificati sulla loro terra. Il caso del cotone in India, che ha visto raddoppiare le rese in pochi anni, è emblematico”.

In un contesto, definito da Jim McCarty sulle colonne del Wall Street Journal “the Europe’s Scientific Dark Ages”, in cui è sempre stato impossibile cercare di comprendere la portata della questione Omg – visto che la discussione si è sempre risolta in uno scontro, nella maggior parte aprioristico, fra chi è a favore e chi è contrario – e in cui l’“Eco-propaganda” sta cacciando via dal Vecchio Continente la Biotecnologia e i più brillanti tra i ricercatori europei, l’Accademia ha dimostrato di saper interpretare con notevole acume critico le modalità che determinano l'esistenza di un rapporto fruttuoso tra esperti e ricercatori da un lato e politica, industria, società, religione dall'altro. Tenendo conto, allo stesso tempo, degli interessi economici, sociali, umanitari in gioco. Ci auguriamo che questa apertura da parte del Vaticano, squarci il velo dell'ignoranza su un tema dove le troppe (vane) parole non trovano riscontro nei fatti. (l'Occidentale)

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