giovedì 23 dicembre 2010

Ostellino:"Cosa manca a questo centrodestra". Luigi Mascheroni

Piero Ostellino è molte cose. Un gior­nalista, un politologo, un ex direttore del Corriere della Sera , un club del qua­­le pochi possono vantarsi di fare parte, e soprattutto un liberale. Circolo - se possibile - ancora più ristretto. Un «li­berale scomodo», come si è definito una volta. «Ormai, più che altro, un vecchio libe­rale».

Cosa significa essere liberali?
«Essere minoritari in un Paese total­mente privo di cultura liberale, e quin­di essere picchiato sia da destra che da sinistra».

Lei è di destra o di sinistra?
«Sono “altrove”, cioè dalla parte del cittadino. Una categoria di solito di­menticata dalla politica e dal giornali­smo».

Perché dimenticata?
«Perché in tutti i discorsi dei politici e in tutte le pagine dei giornali non c’è mai posto per la più importante delle doman­de: “ Ma a me cittadino, da tutto questo cosa ne viene?”. Vale a di­re: dopo tutti gli accordi, le divi­sioni, i provvedimenti bocciati o le leggi approvate, quanto au­mentano e quanto diminuisco­no la libertà e il benessere del cit­tadino­ elettore? Domandarse­lo significa essere dei liberali».

Questo governo se l’è do­mandato? Cosa ha fatto e cosa non ha fatto di libera­le?
«Ha fatto diverse cose che si proponeva di fare, soprattutto la riforma Gelmini, contro la quale incredibilmente i giovani, pro­babilmente senza neppure sa­pere perché, stanno protestan­do: se c’è una riforma meritocra­tica, che limita il potere dei baro­ni a favore di chi studia, questa è proprio la riforma Gelmini. Cer­to, è perfettibile. Ma poiché la so­cietà perfetta non esiste, se non nella mente degli utopisti, dob­biamo accontentarci».

E cosa non ha fatto invece Berlusconi?
«Nel 1994 promise di fare due cose fondamentali per rilancia­re l’Italia: una radicale riforma della pubblica amministrazio­ne, tagliando la spesa pubblica; e un ridimensionamento della pressione fiscale. Ciò avrebbe si­gnificato ripresa economica e miglioramento della vita socia­le. E questo non è stato realizza­to».

Per colpa di chi?
«Da una parte per un’opposi­zione interna al centrodestra, e con questo non intendo solo Fi­ni o Casini, ma anche qualcuno dentro Forza Italia... E forse per­sino lo stesso Berlusconi non ci ha creduto fino in fondo...E dal­­l’altra, ovviamente,per l’opposi­zione della vera forza conserva­trice di questo Paese».

La sinistra.
«La sinistra. Che non a caso co­me­slogan del proprio conserva­torismo ha scelto “Giù le mani dalla Costituzione!”. Ma se esi­ste una Costituzione vecchia e anacronistica è proprio la no­stra, il risultato di un compro­m­esso tra il cattolicesimo dosset­tiano e il comunismo di stampo sovietico. Una Costituzione che è tutto tranne che liberale, un mi­sto tra collettivismo comunista e corporativismo fascista. Da cui discende la natura della no­stra politica che da sempre, inve­ce che dirigere il Paese, pensa a difendere gli interessi di un grup­p­o piuttosto che un altro e a me­diare tra i diversi interessi».

Lei ha detto che la colpa è anche di qualcuno dentro il partito del premier.
«Sono i democristiani conflui­ti in Forza Italia che si portano appresso il vecchio vizio della Dc di voler accontentare tutti. Correnti, “colori” e fazioni sono l’espressione più evidente delle corporazioni in cui è divisa la so­cietà. Fino a quando questa ten­denza sopravvive, Berlusconi non potrà realizzare i suoi obiet­tivi».

A proposito di Berlusconi, è vivo o morto?
«Visto come è andata alla Ca­mera la scorsa settimana direi proprio che è vivo. Ammazzarlo credo sia difficile. Certo però che è ferito. L’implosione del centrodestra, con l’uscita di Fi­ni, lo ha politicamente azzoppa­to. Gli rimane ancora una gran­de attrazione elettorale, ma ha perso in parte la forza governati­va. Ma in fondo questa è sempre stata la sua natura».

E qual è la sua natura?
«Gli antiberlusconiani lo di­pingono come un autocrate, un dittatore, ma in realtà lui è un monopolista. La sua natura di uomo di affari prevale sulla sua posizione politica. È il migliore nel raccogliere il voto della gen­te comune, cioè dei moderati. Ma una volta vinte le elezioni si convince che la cosa più impor­­tante l’ha già fatta, quando inve­ce deve iniziare a governare. Che significa anche dialogare con i suoi collaboratori, i quali spesso non hanno però il corag­gio di dirgli “Non sono d’accor­do”... Già di suo, poi, Berlusconi è convinto che ascoltare gli altri sia una perditadi tempo. E que­st­o vale anche verso le forze del­l’opposizione. Invece, non dico con Repubblica , ma almeno con Bersani potrebbe parlare... Ma­le non gli farebbe».

I ministri migliori di que­sto governo?
«Non mi piacciono i giochetti migliore-peggiore».

Mettiamola così: quelli che l’hanno più soddisfat­ta.
«Tremonti, per aver cercato di tenere i conti in ordine. È grazie a lui che non abbiamo fatto la fi­ne della Grecia: quando Berlu­sconi si ritirerà potrebbe essere lui il nostro Sarkozy, a patto che l’anima socialista lasci posto a quella liberale. Sacconi, un ex so­cialista di grande buonsenso, an­che se sembra quasi un democri­stiano. Gelmini, per il tentativo di modernizzare l’università. Maroni, un grande ministro de­gli Interni per la moderazione con la quale parla e si muove. E Frattini, il miglior ministro degli Esteri possibile in un governo che ha come premier un mono­polista come Berlusconi che fa già lui il ministro degli Esteri».

Quelli che l’hanno soddi­sfatta di meno?
«Tutti gli altri. Figure abba­stanza grigie». E Fini? «Un altro prodotto del mono­polismo berlusconiano. Era un oppositore interno petulante e ondivago. Ma con l’espulsione dal partito, perché di fatto è stata un’espulsione, Berlusconi lo ha fatto diventare un caso istituzio­nale. Mi chiedo: ma era così diffi­cile sopportarsi? Detto questo, Fini è diventato incompatibile con la carica che ricopre non per l’appartamento di Montecarlo ma perché da presidente della Camera ha creato un partito. Non si tratta di un problema mo­rale, ma istituzionale».

Ma è un traditore?
«No, il tradimento non è una categoria politica».

E dal punto di vista politi­co, cos’è Fini?
«Una figura molto modesta. Non è certo l’alfiere di una de­stra liberale e moderna che qual­cuno vuole farci credere che sia».

La Lega?
«Partita bene, con una voca­zione rivoluzionaria riassunta nel grido grezzo ma efficace “Ro­ma ladrona” contro sprechi, fa­voritismi e assistenzialismo, pe­rò poi trasformatasi in una sorta di Democrazia cristiana locale, troppo attenta alle parentele e agli interessi “particolari” che le impediscono di diventare una vera forza nazionale. Insomma, mi sembra un po’ indebolita».

E la sinistra come sta? È vi­va o morta?
«Definitivamente defunta. E lo dico con rammarico, perché avremmo davvero bisogno di una opposizione seria e riformi­sta. Questa sinistra invece difen­de gli occupati e non i giovani che cercano lavoro, i baroni e non gli studenti... è una sinistra post-comunista che ha perso il miraggio della rivoluzione e non sa dove guardare. Non ha più un riferimento».

E la nuova sinistra? Vendo­la e Renzi? «Vendola mi fa tenerezza, mi sembra un Pasolini che non scri­ve poesie, uno che fa discorsi da vecchio comunista condendoli con una retorica giovanilistica. Renzi è un rottamatore dentro una sinistra già rottamata, un to­scano più incline allo sberleffo che alla retorica. Funzionano be­ne a livello locale, ma nessuno dei due ha la statura del leader nazionale».

Saviano, il «papa nero»?
«Mi fa pena, nel senso cristia­no di pietas: ha scritto un libro di successo, la sinistra intellettuale lo ha usato per fargli dire di tutto e appena ha scritto una lettera agli studenti prendendo le di­stanze dalla protesta di piazza lo ha scaricato. Una vergogna».

Perché gli intellettuali di sinistra non hanno mai sopportato Berlusconi e il berlusconismo?
«Perché, a differenza dell’in­tellettuale liberale che diffida del potere, quello di sinistra ne è affascinato. Adora il potere. E Berlusconi ogni volta che vince le elezioni glielo toglie».

Alle prossime elezioni co­sa voterà?
«Non voto più da 30 anni. Tor­nerò a farlo solo quando verrà ri­formato questo Stato fortemen­te illiberale».

E canaglia.
«E canaglia, sì. Perché uno Sta­to che trucca ­i semafori per gua­dagnare sulle multe e mette le te­lecamere nascoste per vedere chi attraversa la frontiera con la Svizzera, come se fossimo tutti evasori fiscali, è uno Stato cana­glia. Indipendentemente da chi lo governa». (il Giornale)

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