giovedì 25 ottobre 2012

Nodo Finmeccanica. Davide Giacalone



Finmeccanica è uno dei gioielli della Repubblica. Si occupa di prodotti ad alto contenuto tecnologico che, per loro natura, anche con riferimento al settore militare, richiedono un procedere armonico con l’indirizzo e il sostegno politico del governo. Oltre tutto il governo ne è il proprietario di fatto, detenendone il 30% delle azioni. E, infine, ci sono diversi competitori internazionali che brinderebbero nel vederla crollare, né si risparmiano sforzi in tal senso. Queste sono le premesse da cui partire, sia per capire meglio quel che è successo, sia per valutare le responsabilità politiche (quelle penali si esaminano altrove, vale a dire nei tribunali e non nelle procure), sia per stabilire quel che dovrebbe succedere. Subito, oggi stesso.

In Brasile, tanto per restare ad un caso concreto, che riemerge in sede penale, c’era la possibilità di aggiudicarsi una commessa assai importante, relativa a fregate militari. Non ora, non con il senno di poi, ma allora, per primi e da soli scrivemmo che i francesi avevano giocato sporco: prima si erano tenuti Cesare Battisti, sostenendo che quell’assassino non doveva essere consegnato alla giustizia italiana, che lo aveva condannato, con ciò stesso mollandoci uno schiaffone che nessun governo avrebbe dovuto tollerare; poi, quando la loro stessa magistratura stava per rispedircelo, il Battisti scomparve, per riapparire in Brasile; qui la cosa fu gestita, dalle nostre autorità, come peggio non si poteva, abboccando ad uno scontro che si sarebbe dovuto fare con i francesi, non con i brasiliani. La mia è solo un’ipotesi, ma nessuno mi toglie dalla testa che i francesi lo fecero apposta. E’ un’ipotesi anche la seconda, ma ho l’impressione che i brasiliani se lo presero (e ancora se lo tengono) per facilitare l’affare fregate con i francesi. Noi ci perdemmo, sia in dignità politica, che in credibilità della nostra giustizia (già scarsa), che in quattrini.

In quel contesto non solo non avrei trovato sconveniente un passo ufficiale del governo italiano, tendente ad appoggiare l’offerta di Finmeccanica, ma mi pare sconveniente il contrario. Se qualche nostro ministro è intervenuto, ha fatto bene. Naturali sono due cose, tanto per non girarci attorno: a. nei contatti fra governi non si parla di tangenti; b. nei lavori di quel tipo si pagano intermediazioni che generano liquidità a disposizione dell’acquirente, che ne fa quel che crede. Il venditore, in questo caso la parte italiana, fa firmare un bel contratto in cui si ribadisce che il mediatore non deve corrompere nessuno, dopo di che si disinteressa e lascia che la faccenda rientri nella competenza delle autorità del Paese acquirente. Cavoli brasiliani. Aggiungo un dettaglio, rilevantissimo: se un qualche esponente della parte italiana, facente capo all’azienda o, peggio ancora, facente capo al governo o suo componente, approfitta della situazione per chiedere soldi per sé, o per suoi amici, o per chi diavolo gli salta in mente, si tratta non solo di un criminale, ma anche di un miserabile traditore degli interessi nazionali.

A questo si aggiunga che in Brasile, nella squallida vicenda di Telecom Italia, a due mandate successive, s’è assistito ad un indaffararsi degli italiani per derubare una società italiana, utilizzando sponde brasiliane. Questo (qui dettagliatamente, a suo tempo, raccontato, anche con due libri), assieme all’incapacità nazionale di far giustizia, già ci espone ad una fama triste. Che pesa sulle spalle di tantissimi nostri connazionali, ancora capaci di fare affari seri. Se ora si accertasse roba del tipo cui ho accennato, per la qual cosa serve un processo, i responsabili meriterebbero il massimo della pena. Da scontare in carcere.

Non serve un processo, invece, perché il governo prenda una decisione. Che spetta al presidente del Consiglio, Mario Monti. Faccende come questa, comunque si risolvano le inchieste, dimostrano, ove ve ne sia bisogno, l’intrecciarsi fra la diplomazia economica e quella politica. Che devono andare all’unisono. Siccome il mondo è pieno di trappole, come di opportunità, e di malfattori, come di operatori capaci, è necessario ci sia un rapporto di fiducia fra il governo-azionista e l’azienda, nella figura del suo amministratore. Non a caso dotato di poteri assai vasti. Così non è, oggi.

Sappiamo che Giuseppe Orsi ha avuto modo di dire che Finmeccanica elargì denari al ministro dell’economia, Vittorio Grilli, mediante consulenze fasulle, assegnate alla sua ex moglie. Grilli, che siede nel dicastero intestatario delle azioni Finmeccanica, nega. Se ha ragione lui (come spero) è evidente che Orsi ha tentato di ricattarlo, oppure è uno che apre la bocca e parla a vanvera. Se ha ragione Orsi, invece, è chiaro che il ministro non è nelle condizioni di esercitare il suo ruolo. Qui non si tratta di aspettare alcun esito di alcuna vicenda giudiziaria, perché è irrilevante ai fini dell’interesse nazionale. Qui si tratta di mettere l’uno o l’altro, subito, fuori dal posto in cui si trova. Tocca a Monti.

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