giovedì 11 ottobre 2012

Tobin dei poveri. Davide Giacalone

Da ieri il moralismo fiscale ha conquistato una dimensione quasi continentale, con l’adesione di undici Paesi europei alla Tobin tax. Non è un mal comune mezzo gaudio, ma un mal comune doppio danno. Tutto è sbagliato, in quell’idea, a cominciare dal fatto che alcuni europei, e gli italiani fra questi, hanno dovuto chinare il capo innanzi a un diktat, che in tedesco significa “dettato”. I più entusiasti sono i francesi, il cui governo socialista gode all’idea che si tassino le transazioni finanziarie, così colpendo i ricchi. Fra breve si accorgeranno che, ove un simile disegno vada in porto, le transazione disposte a farsi tassare saranno pochine, mentre a pagare saranno i poveri. A spingere sono i tedeschi, che tanto si finanziano gratis, grazie all’euro e agli spread.

Il progetto è quello di tassare allo 0,1% le transazioni relative a azioni e obbligazioni, e allo 0,01 quelle dei derivati. Un piccolo prelievo che, proiettato sull’enormità degli scambi quotidiani, darebbe un grande gettito. Solo che lo proietteranno esclusivamente al cinema, perché quelle transazioni saranno allocate fuori dall’area dell’arroganza fiscale. Se il fantasma di James Tobin si presentasse ai governanti europei il rumore che si sentirebbe non sarebbe quello delle catene trascinate, ma l’ululato di rabbia per il modo in cui è stata distorta la sua idea. Supporre che i proventi di quella tassazione possano servire ad alimentare la spesa pubblica o diminuire i debiti di questo o quello Stato è non solo difforme dall’originale, ma destinata a insuccesso. A dispetto della fregola tassatoria il mondo va dove lo porta il portafogli. La regola è: i soldi soggiornano dove li si tratta meglio.

I mercati finanziari spostano ricchezza per un volume pari a 70 volte il prodotto annuo mondiale. Pensateci: una follia. Nessuno chiede di tornare all’epoca del baratto, scambiando mele contro uova. Ma neanche possiamo restare in un mondo in cui si assume che un chilo di pere vale dieci milioni e un uovo cinque, sicché scambiando un chilo contro due ovi si realizza una transazione da venti milioni. Le cose si sono terribilmente complicate da quando il globo è diventato piccino, il che è successo a partire dal giorno in cui abbiamo smesso di farci la guerra e s’è diffusa la telematica. Due fatti positivi. Bellissimi. Ma che possono essere utilizzati per farci del male.

Muovendo denari per 70 volte il pil mondiale, facendolo da ogni dove e 24 ore al giorno, questa roba ha superato la fantasia della Spectre, accumulando un potere largamente superiore, non imbrigliabile da nessuno stato nazionale. A guidarla, poi, non c’è un Tizio che liscia il micio, ma migliaia di Caio e Sempronio anonimi che se ne stanno dietro i computers, a far da protesi umana del programma che guida acquisti e vendite. Nel 1795 Immanuel Kant scrisse della necessità del governo mondiale per porre fine alle guerre, vivesse oggi proporrebbe la stessa cosa, ma per regolare la finanza.

L’idea di Tobin era tassare le transazioni a breve e in valuta straniera, in modo da stabilizzare i mercati. Solo che è stata fatta nel 1972 e si riferiva al mondo post Bretton Woods, quando Nixon liberò il dollaro dall’essere la valuta stabile, cui gli altri avevano il dovere di riferirsi. Quel mondo lì e il nostro non hanno nulla in comune. Ma, comunque, Tobin pensava, correttamente, a un accordo globale, con proventi da mettere a disposizione della comunità internazionale. Se si tassano le transazioni solo in un’area del mondo si ottiene il risultato di vederle migrare da un’altra parte, in virtù del principio che i soldi vanno dove rendono di più e sono meno tassati. Cameron, che guida il Paese dove si trova la piazza di Londra, ha già detto che non se ne parla nemmeno. Ma ove anche cedesse (e non lo farà) il risultato non sarebbe maggiore gettito, ma più veloce transumanza dei quattrini, alla ricerca di verdi pascoli.

Lo snaturamento di quell’idea viene venduto come se fosse possibile tassare gli speculatori, i profittatori, i porcelli della finanza, secondo un’iconografia cara ai fascisti, ai nazisti e ai comunisti. In realtà si interviene fiscalmente in un momento in cui i tassi d’interesse su alcuni debiti sovrani, come il nostro, sono troppo alti, quindi, alla fine, pagheranno i poveri, che dovranno meglio remunerare gli investitori, anche per averli voluti tassare. All’errore s’unisce la finzione: gli stessi Paesi che oggi aderiscono continuano a farsi concorrenza fiscale fra di loro, e chi non ci credesse vada a vedere quante aziende chiudono da noi e non riaprono in Cina, ma in Austria o in Polonia.

Imbrigliare i mercati finanziari è necessario, ma gli strumenti non possono che essere diversi e globali. Tutto questo per dire, quindi, che i governanti europei sono miopi e piccini, affetti da statolatria fiscocentrica, quindi destinati a prender sganassoni dagli statunitensi, che esportano la loro crisi, e lezioni di mercato dagli asiatici, che importano i nostri soldi. Speriamo il fantasma di Tobin (defunto nel 2002) visiti le loro notti.

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