lunedì 15 ottobre 2012

Protestino per il contrario. Davide Giacalone

Non ha senso che gli studenti protestino contro i tagli alla spesa pubblica, dovrebbero protestare contro la strutturazione di tutta intera quella spesa. A sentire certi slogan e a leggere certi resoconti ci si rende conto che il vecchio e il nuovo non hanno confini necessariamente anagrafici. Alcuni di questi giovani sembrano non aspirare ad altro che ad avere la vita dei loro genitori e dei loro nonni. A loro andrebbe detta una parola sincera: non è possibile. E neanche bello. Supporre che la difesa dei loro interessi coincida con quella dei loro docenti, all’interno di una scuola i cui risultati sfigurano rispetto ai sistemi istruttivi nostri diretti concorrenti, non è una semplice bischerata: è una truffa.

L’interesse degli studenti dovrebbe essere quello di far prevalere la meritocrazia, prima di tutto fra le cattedre. E’ vero che quando si è ragazzi non si disdegna punto la supplente impreparata, nel corso delle cui ore si può far caciara, ma è anche vero che se non si è ragazzi stupidi ci si rende conto che con quel sistema si diventa polli allevati in batteria, senza eccellenze che non siano dono di natura. Senza altro privilegio che non sia la condizione economica della propria famiglia. Sicché, se ci tengono alla democrazia e all’apertura del nostro sistema formativo, affinché sia trampolino di lancio verso i successi della professione e del mercato, devono chiedere il contrario di quel che reclamano: scuola selettiva e di altro profilo. Altrimenti si fermano gli ascensori sociali che, difatti, sono già inceppati.

In quanto alla spesa, posto che la sua pressoché totalità è destinata ai costi correnti, vale a dire al pagamento degli stipendi e della gestione, si vorrebbe sapere cosa gliene importa agli studenti dei suoi eventuali tagli. Credono di avere meno opportunità, nella vita, se il loro docente è tenuto a insegnare più ore? Semmai dovrebbero mobilitarsi proprio per chiedere la compressione della spesa corrente e il ritorno degli oramai scomparsi investimenti.

In piazza dovrebbero protestare perché i governi (plurale) continuano a ignorare il dettato delle leggi e a imporre l’uso di libri di testo stampati e rilegati, a solo sollazzo e giovamento degli stampatori. E protestando per far nascere la scuola digitale dovrebbero reclamare maggiore libertà per le proprie famiglie, affrancandole da una spesa alta e inutile. La sgradevole impressione, invece, è che il rito della protesta si ripeta uguale a sé stesso, di anno in anno, senza neanche aggiornare ragionamenti e parole d’ordine. Una specie di dannazione, una coazione a ripetere gli errori di sempre, una voglia di conservare quel che, invece, andrebbe cambiato.

In ultimo: è sbagliato protestare contro l’aumento delle tasse universitarie, che restano molto basse, mentre sarebbe saggio protestare sia per l’assenza di borse di studio degne di questo nome, cui i meritevoli svantaggiati possano accedere, sia la mancanza di dati dettagliati sul valore selle singole università, dei singoli corsi e dei singoli professori. Avere tasse basse in cambio di bassa qualità, in un ambiente di falsificata eguaglianza, significa solo propiziare un futuro di alta povertà. Prima culturale e poi economica. O viceversa, a piacere.

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