sabato 13 ottobre 2012

Quando l'Italia vendette gli ebrei ai terroristi. Giulio Meotti

                           
Nell'antico ghetto di Roma la memoria è ancora fresca della strage alla sinagoga del 9 ottobre 1982. Un commando palestinese di Abu Nidal lanciò granate e raffiche di mitra sugli ebrei all'uscita dalla sinagoga, il giorno dopo la festa delle capanne. Un bambino di tre anni, Stefano Gay Taché, rimase ucciso. E' stato il primo ebreo assassinato in Italia in quanto tale dal 1945. All'epoca non c'era politico, dal presidente Pertini ai comunisti di Berlinguer, che non flirtasse con Arafat, mentre i giornali all'unisono paragonavano il sionismo al nazismo. Quel giorno il quartiere ebraico venne lasciato misteriosamente senza protezione. L'unico terrorista condannato per l'eccidio, Abdel Al Zomar, oggi è a piede libero a Tripoli. Pochi giorni prima della strage, i sindacalisti di Luciano Lama lasciarono una bara vuota di fronte al tempio ebraico, mentre Pertini aveva esaltato la "resistenza" al fianco di Arafat, che sebbene avesse sulla coscienza qualche centinaio di ebrei uccisi in Israele o all'estero era stato anche appena ricevuto in Vaticano. I socialisti di Bettini Craxi erano soliti paragonare Arafat a Giuseppe Mazzini, mentre la cosiddetta giustizia italiana si sarebbe presto dimostrata molto lesta nel rilasciare i terroristi legati agli attentati (l'ultimo è Youssef al Molqi, l'unico condannato per l'uccisione sull'Achille Lauro dell'ebreo americano Leon Klinghoffer, che sebbene fosse su una sedia a rotelle venne gettato in mare come un cane). Se il 16 ottobre 1943 è il giorno in cui gli italiani tradirono migliaia di connazionali ebrei diretti a Birkenau, il 9 ottobre 1982 deve essere ricordato come il giorno in cui l'Italia ha venduto gli ebrei ai terroristi.
 

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