domenica 29 dicembre 2013

Dividendo della (in)stabilità. Davide Giacalone

 

L’incantesimo delle parole, con il loro autocompiaciuto illusionismo, sta svaporando. Criticare il governo è divenuto sport diffuso. Un po’ tutti se ne attendono la fine, sebbene non sappiano a cosa si darà poi inizio. Ma c’è un punto sul quale il ragionare di Enrico Letta non può essere eluso: egli sostiene che c’è un dividendo della stabilità, valutabile in più di 5 miliardi risparmiati, nel pagare gli interessi sul debito pubblico. Sono numeri, reclama, non parole. Ha ragione: se fosse vero e se fosse merito del governo sarebbe cosa di non poco conto e merito significativo. Ma non lo è. Cosa che è interessante capire non tanto per togliere agli stabilisti quest’ultima illusione, quanto per aver chiaro quale lavoro resta (tutto) da fare.

Il governo Monti aveva previsto di spendere, nel corso del 2013, 89 miliardi per il pagamento degli interessi sul debito pubblico. Il governo Letta afferma che se ne sono spesi poco meno di 84. Più di 5 miliardi risparmiati. Molto bene. Se si domanda a Letta quale scelta, quale taglio o quale legge hanno provocato tale risultato, egli risponderà a lungo, fisserà punti immaginari e inquadrerà il vuoto con ampi gesti delle mani, ruggirà, ma, alla fine, vi dirà: è il dividendo della stabilità. Invece è il dividendo della recessione. La paura che consumi e investimenti crollino, nell’incapacità dei governi di varare misure poderosamente correttive, ha spinto le banche centrali a portare nei pressi dello zero i tassi d’interesse. Ciascuna banca centrale l’ha fatto secondo le regole della propria area di competenza, ma è quel che s’è visto dagli Usa al Giappone, passando per l’Unione europea. Ciò non di meno i tassi di mercato, compresi quelli sui debiti pubblici (plurale), non ne vogliono sapere di radere il suolo, benché beneficino della liquidità affluente. Per dirne una: i tassi a breve (3 mesi – 1 anno) sui Bot sono stati mediamente superiori a quelli che Letta trovò.

Se glielo dite vi risponderà che la vostra è solo invidia politica, giacché un altro numero va preso in considerazione: il calo dello spread. Lo dice lui, perché non mi sarei permesso d’usare un argomento polemico così sciocco. Lo spread tende a fregarsene di chi governa e di quel che fa. E’ un gioco in grande, nel cui mirino c’è l’euro. Nel novembre del 2011 cambiammo urgentemente governo, perché era troppo alto, sopra 500. Qualche mese dopo, in era di morigeratezza dei costumi e multilinguismo obbediente, era ancora sopra 500. A spezzare le gambe allo spread provvide Mario Draghi, nell’estate del 2012. Da allora i differenziali, rispetto al costo del debito tedesco, sono scesi pressoché ovunque. Segno che i meriti non sono nazionali. Ora, però, quella rischia di essere una trappola. E le parole di Letta tornano utilissime.

La diga eretta dalla Banca centrale europea ha comprato tempo (prezioso), ma non ha risolto alcun problema. Su questo i tedeschi hanno ragione. Sia in Usa che in Cina hanno provato a dire che l’era dei tassi bassissimi, creata dalle scelte dei banchieri centrali, potrebbe anche finire. E’ bastato dirlo che i problemi sono esplosi, addirittura con i cinesi in crisi di liquidità. Sicché si sono affrettati a precisare che la cosa avverrà pian pianino. Ed è qui la trappola, perché se noi andiamo vantandoci di risultati che non dipendono affatto dalle nostre scelte, se non capiamo com’è fatto il mondo, se stabiliamo che i soldi risparmiati con i tagli (quando e se) ce li snifferemo via con altre spese, anziché destinarli tutti a ribassi fiscali, se adottiamo questa condotta non facciamo che pavoneggiarci nel mentre saliamo la scala del patibolo: vedi, come vado in alto? vedi, quanta gente mi guarda? Vedere vedo, ma mi par stolto compiacersene.

Dentro il tempo della diga (in gran parte già sprecato) si deve abbattere il debito, far scendere la pressione fiscale, cambiare le regole del mercato (lavoro compreso), e, da noi, spaccare l’ingessatura costituzionale che sembra farci monumentali, in realtà ci rende manichini. Letta è abbastanza tronfio dal continuare a elogiarsi anche dopo esser trapassato, ma il punto è: chi, per il dopo, ha consapevolezza del necessario? E chi, avendone consapevolezza, ne ha anche la forza? Nel Paese non mancano energie sane. Scarseggiano nella classe dirigente, affollata di gente che parla di decreti legge “ritirati” (analfabeti, siete degli analfabeti) e tace sulla Banca d’Italia. I nuovismi fanno ridere, la giovinezza porta male. Attendiamo le persone serie al tavolo dei problemi seri.

Pubblicato da Libero

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