venerdì 6 dicembre 2013

Porcellum arrosto. Buon appetito! Paolo Pillitteri



Quando la televisione, tutta, finge di essere presa di sorpresa - naturalmente erano tutte preparate le redazioni dei tg nella serata di mercoledì in merito alla fine, ingloriosa, del “Porcellum” - gli approfondimenti e i talk-show, persino quella “Gabbia” di matti (finti) di Paragone, ha fatto come quello che diceva “porto pesci”, cioè hanno svicolato. Arrostito ben bene dalla Corte Costituzionale, il Porcellum è stato servito in tavola alla politica smandrappata e ridicola di oggigiorno, che va a zonzo per le tv facendosi prendere per i fondelli dai loro nuovi padroni: i conduttori. Buon appetito.

Le facce dei condolenti sono tante e un po’ nascoste dietro formule trite e di rito, ma quelle viste l’altra sera in tv, subito dopo il botto, erano tuttavia di seconda fila, quasi sconosciute, dal Partito Democratico a Forza Italia, come se la cerimonia degli addii alla legge imbroglio del secolo – maggioritario, Mattarellum, Porcellum, malefatte alla Segni – dovesse tenersi sotto il segno dell’understatement, sia pure di serie b, col sottofondo di un De profundis biascicato. Ed era tutto un florilegio, a cominciare dal pur lucido Del Debbio, di “illegittimi, illegali, abusivi, decaduti!” senza neppure rendersi conto, i parlamentari della chiacchiera in tv, che parlavano di loro stessi: de te fabula narratur.

Qualcuno, con sadomasochismo, come quelli col mal di calli del callifugo Ciccarelli, smorfiavano consolandosi sul Parlamento decaduto perché illegittimo. Todos caballeros, delegittimados. Che consolazione! Ma a nessuno è venuto in mente che, se tanto mi dà tanto, anche la decadenza del Cav è illegittima. Invece, quella in tv, si domandava fra il lusco e il brusco se l’imminente votazione parlamentare per la Cassa Depositi e Prestiti avesse profili di illegittimità. Posti, poltrone, sottogoverno, pratiche usate oggi ancor più di ieri quando, i nuovi arrivati, le rimproveravano ai “vecchi arnesi partitocratici” che, almeno ci sapevano fare, e pure alla luce del sole. Che storia! Che film! E che finale! Adesso sarà facile incolpare il dottor Sottile, neo membro della Suprema Corte - ma allora anche Mattarella c’entra - e gli altri.

E sarà pure così, ma, diciamocelo, se la sono pure cercata. E l’hanno trovata, la sorpresa. Anche Renzi, l’ultramaggioritario un tanto al chilo che sbeffeggiava Alfano coi suoi trenta parlamentari dall’alto dei suoi trecento, dimezzati in un battibaleno dalla Sublime Corte. C’erano anche altre facce un po’ così, sui piccoli schermi assurti al Supremo Sinedrio Taumaturgico della politica “porcell-maggioritaria!” dove ogni politico, per dire, deve sorbirsi da un azzimato Floris un Crozza che lo fa a pezzi prima ancora di incominciare a dire quel poco che ha da dire. Chissà le loro facce, mercoledì prossimo.

E come infatti non notare nell’allarmato volto di Chicco che apriva il tg di La7 suonando il Dies irae, un che di disgustato, una smorfia di malcelato disappunto, come se anche con l’arrosto del Porcellum finisse bruciacchiato il margine di potere mediatico, quello che gli Usa chiamano “margin call”, ovvero la bolla speculativa che, per molti maitre a penser della tv della Seconda Repubblica consiste nell’essere riusciti a capovolgere il piccolo mondo antico della politica d’antan (l’immonda partitocrazia sentina d’ogni vizio!), rendendolo un loro tappetino senza che i cosiddetti “nuovi” se ne accorgessero, ma anzi, li ringraziassero. A parte, beninteso, il Cavaliere: il signore sì che se ne intende(va) di maggioritario, soprattutto di tv e l’abbinamento dei due fattori produsse questi vent’anni sotto il suo segno, pur governandone solo la metà nel bene e nel male.

E Grillo, col suo fasullo apriscatole, abbaierà ancora alla Luna col suo ringhio apoplettico? Quello che si vorrebbe qui dire è che, né più né meno, è finita la Seconda Repubblica, ko, kaput, the end: nel modo peggiore, cioè per sentenza di giudici, ancorché Costituzionali, ma anche e soprattutto, nelle forme più perfide giacché la sentenza precede lo sberleffo corale del buon senso italiano, finalmente in piedi dopo essere stato messo da parte in questo ventennio, sia dalla falsa rivoluzione giudiziaria che ha paralizzato, da allora, il Paese e la sua economia sia da un sistema elettorale ad usum delphini, ovverosia funzionale all’irreversibile annientamento dei partiti - su cui la ghigliottina selettiva s’era già abbattuta - costretti a schierarsi di “qua o di là, cinque anni di stabilità” come se la formula magica bastasse a creare due poli, due partiti, la vera alternanza, la democrazia matura, l’avvento del nuovo che avanza sul vecchio che resiste. Slogan d’accatto di venditori di fumo e di promesse mancate. E adesso? Ce la metteranno tutta a peggiorare il peggiorabile. Scommettiamo?

(l'Opinione)

 

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