venerdì 14 dicembre 2007

Che pensereste voi dell'Italia. il Foglio

Se foste l’inviato di un quotidiano straniero in questi giorni a Roma?

Ogni tanto succede che un giornale straniero titoli e racconti come in fondo all’Italia restino soltanto la pasta e la pizza, e poi magari nel sottotitolo ci aggiunga la mafia e il calcio. E poi magari si riciccia la chiesa, come lobby che preme d’oltretevere e non come pilastro anche culturale, il bel clima e l’arte che tutti accontentano. Ci mancano le belle mediterranee e i maschi romantici con chitarra, e il quadretto è fatto. Succede, e non è del tutto saggio far pendere il proprio giudizio dalle labbra della pur autorevolissima stampa forestiera. Però, se voi foste uno straniero a Roma, magari il corrispondente del New York Times, in grado di leggere i giornali e di intervistare persone di ogni tipo, che pensereste? Che pensereste di un paese che mentre tutto il mondo alza l’età delle pensioni, la riduce? Di un paese con un governo così debole che non riesce neanche a cadere? Di un paese dove avere figli o è un problema di ammortizzatori sociali o un diritto individuale, invece di essere semplicemente la norma? Di un paese dove per protesta si assaltano le caserme, per agitazione sindacale si prende di mira il Parlamento, per serrata si bloccano le strade? Di un paese dove ogni rivendicazione finisce al grido: assassini? Di un paese dove lo slogan più fortunato è un vaffanculo? Dove il libro più venduto è una condanna della casta o un’epopea nera della camorra? Dove ogni trattativa – Alitalia, welfare, licenze eccetera – finisce con un rinvio che poi nasconde una concessione figlia di un ricatto ai danni di una classe politica debole? Dove ogni decisione dev’essere soppesata per giorni, perché a volte parte dall’idea di garantire più sicurezza e finisce per limitare la libertà di parola? Racconta Ian Fisher sul NYT: gli italiani non credono più alla loro arte di arrangiarsi e l’Italia, più vecchia e più povera, sembra non amare più sé stessa. C’è un legame tra un sistema politico sbrindellato in perenne transizione e un umore generale che peggiora. Lo chiamano malessere, quella cosa che non ci fa andare avanti. Perché manca qualcuno che dia la direzione.

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