mercoledì 19 dicembre 2007

Contro il Cav. e Piroso cattedre etiche al lavoro. Paolo Pillitteri

E’ sempre spiacevole fare le pulci a persone che stimiamo, al di là delle reciproche distanze. Ma la lettura del saggio “giuridico” di C.F. Grosso su “La Stampa” di lunedì a proposito di intercettazioni in cui il Cav promette vantaggi a senatori di maggioranza per votare contro il governo, ravvisando in ciò l’ombra grave e colpevole della corruzione, sulla scia della Procura partenopea che ha inoltre ipotizzato il reato di istigazione alla corruzione per raccomandazioni di starlets alla Rai (correggeteci se sbagliamo), ci ha catapultato all’indietro, ai tempi della teorizzazione dello stato etico e della liceità del controllo della magistratura sull’attività del Parlamento. In un Paese dove l’illegalità e l’illiceità sono lo sport preferito da ogni corporazione, e non solo.

Ci siamo chiesti, alla luce delle esperienze politiche di molti, quale presidente di giunta, quale sindaco, quale premier non abbia mai promesso posti, enti, assessorati, sedie, fringe benefits, auto blu, abbonamenti al cinema/teatro, impieghi e quant’altro pur di ottenere la maggioranza al proprio governo. Quale giunta comunale o regionale, di destra o di sinistra, bianca o rossa o verde è stata composta senza patteggiamenti, accordi, proposte, offerte, ricatti politici? In che film? Questa è la politica. Questa è la lotta del e per il potere, da sempre. E il “Parlamento dei giudici”, il mitico Csm, con le sue correnti esplicite e organizzate, ebbene, il Csm non imita, non frequenta, non attua le “peggiori” lotte intestine della politica, coi suoi aggiustamenti, i calcoli da manuale Cencelli, i suoi accordi sopra e soprattutto sotto banco? Forse, perché i magistrati, sono al di sopra dei giudizi, sono esenti da critiche in quanto togati, in quanto potere altro, morale? Ma va là... Diciamocelo, questa del Cavaliere che tenta di catturare questo o quel senatore errante dell’Oceania (Tremaglia, pentiti!) rientra nella dinamica, nella logica, nell’ordine naturale delle cose della politica. Semmai, è l’aver chiesto la sistemazione di qualche starlets in Rai che stona, che è una caduta di stile, dato che il Cav possiede ben altre chance personali. Ma tant’è, è il (suo) vizietto.

Per un Grosso che tuona dal pulpito etico del principio di legalità (per gli altri, per il Cav), c’è un Padellaro che pontifica dalla cattedra de “L’Unità”, per di più contro un capacissimo collega, il Piroso di “La 7” accusato duramente per le sue critiche al sobrio Luttazzi quando attaccava la Chiesa e andava giù pesante sulla figlia di Berlusconi. Tu quoque, Padellaro?! In realtà questo attacco ad Antonello Piroso e ad alcune “copertine” del Tg 7 che dirige è sembrato un debito interno da pagare alla corrente forcaiola del giornale fondato da Gramsci, e diretto, fra gli altri, da Veltroni. La risposta pirosiana a Padellaro è un piccolo capolavoro: “Le chiedo - così scrive Piroso - se un comico avesse detto in tv di scoparsi la figlia di un politico, che so, di Berlinguer o di Veltroni, così tanto per fare satira e senza farci ridere, io e lei avremmo fatto sì o no un balzo sulla sedia? Io sì”. Prendi, pesa, incarta e porta casa. (l'Opinione)

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