domenica 9 dicembre 2007

Uranio: giornalisti terroristi. Carlo Panella

Il terrorismo è all’attacco in Italia. Non quello delle Br, non quello di al Qaida: il terrorismo dei giornalisti. Dopo i miliardi di morti di Aids, dopo le fanfaronate sull’aviaria, dopo l’esaltazione del Nobel per l’ambiente a un politico americano fallito –al Gore- che consuma personalmente più energia “sporca” di una città africana, ecco la “campagna sull’uranio”. Campagna ricca di potenzialità eversive, perché scatena, in modo assolutamente irresponsabile- il terrore del “nucleare” dentro la decennale polemica pacifista sulle missioni militari italiane. Tutti i teatri di guerra contestati dal popolo arcobaleno –questa è la tesi dell’accusa- dal Golfo nel ’91, passando per la Bosnia, il Kosovo e l’Iraq, per arrivare all’Afghanistan, sarebbero stati teatro di una demenziale intossicazione dei nostri militari, provocata proprio dalle armi che generali imbecilli –su suggerimento dei “diabolici americani”- hanno consegnato nelle loro mani. Per di più, queste armi, avrebbero mietuto morti sottili, una sorta di strisciante Chernobyl, tra la popolazione civile che abita nelle zone soggetto a bombardamenti. Il tutto, appunto, a causa dell’uranio impoverito utilizzato per aumentare al massimo la concentrazione della massa ponderale nei proiettili d’artiglieria.
Da anni, migliaia di articoli propalano questa tesi. Ma non è vera. Ma siccome deve essere vera, i titoli e gli articoli dei giornali la trasformano in vera. Oggi, tutti i quotidiani italiani titolano grosso modo come Repubblica: “Uranio, 77 i militari morti”. Titoli che obbligherebbero la magistratura italiana –se esistesse una magistratura italiana e non fosse ormai una propaggine di poteri altri- a procedere d’ufficio per varie fattispecie di reato. Non è affatto vero infatti che nulla indichi che 77 militari italiani sono morti a causa dell’uranio, ma è vero l’opposto: il ministro Parisi ha infatti comunicato che 77 sono i militari morti per tumore nel quinquennio 2001-2006 (campagne di Bosnia, Kosovo, Iraq e Afghanistan, per un totale di decine di migliaia di militari “esposti” ai proiettili con uranio impoverito). Morti per tumore –lo ripetiamo- per tutte le tipologie neoplastiche, non “per uranio”. Un cifra, che non solo smentisce già a prima vista ogni allarmismo, ma indica addirittura che la mortalità per tumore tra questi militari è inferiore di un terzo alla mortalità per tumore della popolazione maschile italiana. La stessa proporzione vale per i militari con malattie oncologiche ancora in vita. Se si dovesse usare lo stesso metro degli allarmisti, queste statistiche, quindi, porterebbero alla conclusione opposta: l’uranio impoverito è un potente antitumorale perché i militari che lo maneggiano hanno molto meno tumori della media nazionale.
La pericolosità dell’uranio impoverito, è dunque una palla colossale, dunque, su un argomento delicatissimo,che merita sicuramente ulteriori accertamenti e prove (e approfondimenti statistici più accurati), ma che, al momento, dovrebbe essere quantomeno archiviata.
Invece no. I media italiani –ormai in preda alla sindrome Lele Mora- sciacallano sulla pelle e sulla buona fede dei famigliari di alcuni militari morti di tumore che non si danno pace, che non accettano la terribile casualità del “male oscuro” e che –spinti da avvocati e associazioni antmilitariste- chiedono allo Stato di essere risarcite per avere provocato con l’uranio impoverito la morte dei loro congiunti. Il massimo rispetto umano per queste famiglie, non può però significare anche il silenzio sui propalatori di questa falsa campagna d’allarme. Tra questi, l’ottimo Folco Accade, deliziosa persona che però ha il difetto di avere costruito attorno a sé un clima di totale, assoluta sfiducia da parte di tutte le forze politiche –anche quelle più pacifiste e antimilitariste- con l’estremismo velleitario delle sue denunce.
Continua così ad andare in scena l’ennesima campagna pavloviana del giornalismo più accattone d’Europa che vive di leggende metropolitane, purchè abbiano un qualche risvolto antiamericano.

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