mercoledì 19 dicembre 2007

Soldi ai palestinesi? La storia non insegna. Dimitri Buffa

Stavolta i dirigenti palestinesi avranno qualcosa come 5 miliardi di euro, cioè 7,4 miliardi di dollari. Eppure state sicuri che si lamenteranno lo stesso. Già dicono che i soldi non bastano. Sembra di vedere i soliti democristiani di annata all’assalto di qualche finanziaria. La storia quindi non insegna niente a europei, americani, arabi e agli stessi israeliani? La verità è che questi soldi neanche questa volta garantiranno un’evoluzione democratica dei territori sotto l’egida dell’Anp. E infatti tutti sanno che Hamas già si appresta a lanciare la terza Intifada mentre i suoi capi partecipano a manifestazioni oceaniche dove sullo sfondo si leggono centinaia di cartelli che inneggiano alla distruzione dello Stato ebraico. E comunque sia Khaled Meshaal, dal suo esilio dorato in Siria, sia l’ex premier Ismail Haniyeh, hanno già rassicurato da settimane i più fanatici: Hamas non riconoscerà mai lo stato di Israele.

Ciò nonostante, come tutti abbiamo letto nei giornali dei giorni scorsi, la famosa conferenza dei “donors” per il Medio Oriente è pronta a mettere nelle tasche dei burocrati dell’Anp una somma pari a una manovra di bilancio in un paese industrializzato come l’Italia. Tanto, per i passati i fallimenti economici dei palestinesi, non si chiamano in causa le ruberie e il terrorismo, ma le presunte restrizioni dei check point degli israeliani. Come se un paese dovesse sopportare, per forza maggiore di politically correct, un attacco suicida al giorno pur di favorire la ripresa economica del paese confinante. Nessuno poi che abbia l’onestà intellettuale di dire che, se i soldi verranno impiegati solo per comprare armamenti e per pagare gli stipendi agli scherani di Abu Mazen, al massimo si svilupperà un esercito di mercenari che un domani potranno anche essere ricomprati dall’Iran. Cui di certo non mancano mezzi in tal senso.

No, questo realismo ormai è bandito dalla politica internazionale che invece, almeno a livello americano, si ostina a seguire i fallimentari progetti di Condoleeza Rice, che sta a Bush come Fini sta a Berlusconi. Recita sempre il ruolo dell’amica del giaguaro.
Così nei giorni scorsi abbiamo di nuovo dovuto assistere al paradosso di metà della diplomazia mondiale che per ingraziarsi l’Arabia Saudita puntava l’indice contro i check point israeliani come fattori ostativi dello sviluppo palestinese, nel momento che l’Europa e l’America sbloccavano i fondi a favore dell’Anp pur non essendo affatto chiarito il ruolo di Hamas in tutto ciò. E infatti negli scorsi giorni hamas organizzava bellicose adunate oceaniche islamo-naziste.

Proprio la scorsa settimana se ne è tenuta una a Gaza nella convinzione di una futura azione di forza della Forza di Difesa Israeliana entro quei confini. Due i protagonisti: l’ex premier Ismail Haniyeh e il finto esule Khaled Meshaal.
Haniyeh ha detto che Hamas non soccomberà: “Il messaggio che oggi viene da voi è che Hamas e tutta questa gente non si arrenderà di fronte alle sanzioni”. Poi un appello alla lotta armata: “Oggi è il giorno del Jihad, della resistenza e della sommossa. Questo è Hamas che rimane fermamente ancorato ai diritti della sua gente e che crede che l’America e l’occupazione sionista siano il nemico”. Infine il giuramento di non riconoscere mai Israele come tutti invece chiedono al popolo palestinese: “Chiunque insista sul non riconoscere Israele, abbraccia Allah e non si arrende di fronte ai blocchi americani e israeliani: la sua popolarità cresce a dispetto dell’ostilità americana”.

In pratica la lotta contro Israele è un precetto divino, come afferma anche un altro leader dei terroristi, il famigerato al-Masri che giura: “Giudei, abbiamo già scavato le vostre tombe”. A campeggiare sulla folla poi, giusto per dissipare ogni dubbio, uno striscione nero con un concetto scritto in arabo, inglese e francese: “Non riconosceremo Israele”. A rendere tutto ancora più chiaro poi è arrivato il messaggio televisivo del leader supremo di Hamas Khaled Mashaal, che si è rivolto al popolo di Gaza parlando da Damasco. Meshaal dice che “Hamas non abbandonerà la violenza”, definita “la nostra scelta reale, la nostra carta vincente, quella che farà soccombere l’avversario”. Meshaal ha gettato la maschera: “La nostra gente è in grado di lanciare una terza e una quarta Intifada, finché non arriverà la vittoria”. E Abu Mazen? “E’ un cane infedele, un presidente illegittimo che non si può permettere di trattare con i sionisti”. E noi a questi signori andiamo a dare altri 5 miliardi di euro? Con quali garanzie? (l'Opinione)

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