lunedì 15 ottobre 2007

L'uomo nuovo che è già vecchio. Giancarlo Perna

Come un'ape bulimica, Walter Vel­troni sparge più miele ogni giorno che pas­sa. Governa Roma da sei anni, debuttò in Parlamento vent'anni fa, da trenta fa poli­tica, ha 52 anni e i capelli grigi, ma continua a presentarsi come l'uomo nuovo che ci cambierà la vita.

Come nessuno è capace di riempire pagine di giornali senza dire nulla. Alla vigilia della sua scontata elezione al­la testa del Pd, il Corriere del­la Sera gli ha dedicato un'in­tervista che occupa un pezzo della prima e, per intero, la se­conda e terza facciata. Parole pesanti come piume. «Il voto di domenica realizza il sogno della mia vita... Comincia un'altra storia, un altro viag­gio, con nuovi compagni e nuo­ve rotte». Il Pd costruirà «una democrazia più lieve e più ve­loce». «Oggi la mia missione è trasmettere il mio entusia­smo. È rilanciare l'orgoglio di essere italiani. Questo Paese fantastico pieno di imprendi­tori meravigliosi, di ragazzi coraggiosi...» di eroi, di poeti, di navigatori. Alla sola doman­da scomoda, quella sul suo fu­turo in Africa dove un anno fa ha fantasticato di ritirarsi in tempi brevi, ha replicato: «Ho detto che non avrei cercato al­tri posti di potere. Ma quando vedi... che tutti si voltano verso di te per chiederti di im­pegnarti in prima persona, non puoi fare finta di nulla».

«Tutti si voltano verso di te». Sem­bra una frase tratta da una preghiera a Maria Vergine, ma Walter - narciso senza pudore - la ri­ferisce a sé. In giu­gno, quando comin­ciò la sua osannan­te campagna eletto­rale, lo scettico Emanuele Macaluso, ds pure lui, dis­se sardonico: «Walter santo subito!». L'ascesa ai Cieli è puntualmente avvenuta. Il sin­daco beato ha perfino scritto una lettera ai sedicenni d'Ita­lia invitandoli a votarlo. «Ca­ri, siano la vostra voce e le vo­stre idee a cambiare le cose. Cogliete questa opportunità, partecipate, scegliete, costrui­te il Pd e fatelo vostro». Come non percepire in questo tene­ro appello l'eco millenario del richiamo di Gesù dalle rive del Giordano: «Sinite parvulos venire ad me»?

Bene. Questo è il Veltroni delle dolci chiacchiere in liber­tà. Concretezze zero. O me­glio. Nell'intervista di cui so­pra Walter un impegno, ahi lui, lo ha preso. Perdendo per un istante la sua incallita pru­denza, ha detto che in otto me­si - sottolineo otto - si possono «ridurre il numero dei parla­mentari alla metà». Largheg­giamo, abbuonandogli il mese di ottobre in cui dovrà smalti­re l'euforia dell'elezione. Ma poi, fatalmente, il tempo rico­mincerà a correre e gli otto mesi scadranno in giugno 2008. Se per quella data non sarà successo nulla - e nulla succederà - potremo togliere a Veltroni l'aureola del santo e mettergli la corona di re de­gli spacconi.

Walter è un genio dell'abbin­dolamento. Comunista per de­cenni, crollato il Muro, dichia­rò di non esserlo mai stato. Anticraxiano incallito, tifò per Bettino in galera, ma quando l'Ulivo cominciò a incamerare i primi socialisti rimasti senza casa, addolcì i toni per attira­re il maggior numero di profu­ghi. Osteggiò Berlusconi co­me pochi, ma ora - per distin­guersi da altri figuri del centrosinistra - si dichiara avver­sario rispettoso. Da qualche anno poi, ha scoperto la categoria dell'ecumenismo - detto appunto, veltroniano - che prende il nome di «buonismo» quando scivola nel pate­tico. Con questi ingredienti, da un lustro governa la Capita­le.

Il «modello Roma» si fonda sul paternalismo. La tecnica, per funzionare, esige che i Ds abbiano il potere. In questo ca­so - per rassodarlo e ampliar­lo - la Sinistra, anziché serra­re le fila, dialoga con l'intera città. La avvolge nel fru fru: corse campestri, notti bianche, gay pride, luminarie, fe­stival. Attrae nelle sue morbi­de spire, preti e mangiapreti, no global e palazzinari, zinga­ri e salotti. Pedine del gioco so­no amici e nemici. C'è posto per l'opposizione di destra, per gli irriducibili di sinistra, nostalgici del Duce, orfani di Stalin. Quest'orgia di raccogli­ticcio ha raggiunto l'apoteosi con le elezioni che hanno con­fermato Walter sindaco nel 2006. Oltre alla lista ufficiale, lo hanno appoggiato una sfil­za di liste civette. Perfino una - «Moderati per Veltroni» - per infinocchiare gli elettori del centrodestra. Al che, il suo sfidante, Gianni Alemanno, è esploso: «Gli manca solo una lista "Fascisti per Veltroni" e siamo a posto».

Walter macina tutto, pur­ché il suo potere si rafforzi. Un bell'esempio della confu­sione mentale che ha semina­to è di queste ore. Uno dei seg­gi elettorali per le primarie del Pd è stato approntato nei locali di una Libreria Mondadori che è, come ognuno sa, la casa editrice di Berlusconi, il quale si è così ritrovato incon­sapevolmente arruolato nella fila di chi lo vuole morto. Svampitezze veltroniane.

Volendo conciliare gli oppo­sti, Veltroni si condanna a non fare niente. I soli che ab­biano avuto vantaggi dal suo ecumenismo, sono costruttori e disobbedienti. Li ha giocati, l'uno contro l'altro. Ai palazzi­nari ha dato cemento libero e ai no global verdeggianti, per zittirli, ha fatto moltiplicare le occupazioni dei cosiddetti «centri sociali» di cui oggi Roma è la capitale mondiale. Ai romani senza etichetta - tre milioni e fischia - restano i ru­mori, il traffico selvaggio, le strade immonde, la mendicità petulante.

Walter è un fabbricatore fre­netico di iniziative estempora­nee. Tiene lezioni di «buona politica» per scolaresche e damazze all'Auditorium roma­no. Scrive romanzi, supervisiona le sceneggiature dei film tratti dai suoi racconti, compare in tv un po' come sin­daco, un altro po' come candi­dato del Pd. Ha trovato il tem­po di doppiare un cartoon di Walt Disney, Chicken Utile, dando voce alla strozza di Rino il Tacchino. Ha fatto un appello in nome delle maestranze per la prosecuzione di In­cantesimo, soap opera in via di chiusura dopo decenni.

Come trascurare poi la sua passione per il Continente Ne­ro. Ci va due volte l'anno a inaugurare pozzi e scuole. Ha imposto i cibi equo-solidali nelle mense scolastiche capi­toline. Per i suoi meriti africa­ni è stato nominato capo tribù di Balaka. Instancabile, ha in­caricato l'Ama - l'azienda ro­mana della Nettezza urbana - di smaltire i rifiuti di alcune capitali centroafricane. Mis­sione fallita per incapacità di assolverla con accuse paracoloniali da parte degli indigeni indignati. Fino all'esternazio­ne famosa, «Finito il mandato di sindaco, mi ritirerò in Afri­ca» e alla storica replica, di fronte allo scetticismo genera­le: «Non ci credete? Ne ripar­leremo tra cinque anni».

Ospite conteso dei salotti, Walter ha intrecciato rappor­ti di sogno con la stampa italia­na ed estera. Tra i suoi turibolatori più assidui Marcelle Pa­dovani, corrispondente dal­l'Italia del Nouvel Observateur e vedova di Bruno Trentin. In un articolo inneggiante che apriva il settimanale tre numeri fa, intitolato «Walter Veltroni, Avanti!», la signora ha dato fondo al suo spirito cri­tico: «Questo sindaco popo­lare, amante delle parole semplici, capace di cata­lizzare grandi emozioni collettive... buono e genti­le verso tutti...» e vi ri­sparmio il resto dell'ar­peggio. È con questi aedi a disposizione che il Nostro ha potuto affian­care al titolo di capotri­bù di Balaka, la Legione d'onore conferitagli da Jacques Chirac.

Nulla dell'adolescenza di Walter faceva presenti­re il nascente Uomo della Provvidenza di una sini­stra catalettica. Fu preco­ce nella prudenza. Undicen­ne , rifiutò il bacio di una bim­betta intraprendente. «Mi sembrava disdicevole dal punto di vista igienico», spie­gò da adulto. Scolaro mode­sto, abbandonò per inidonei­tà gli studi classici, ripiegan­do su un diploma di cineoperatore. All'università non si è mai affacciato. È dunque un autodidatta, il che non gli ha impedito di essere ministro della Cultura, come l'autodi­datta Benedetto Croce lo fu dell'Istruzione. Il filosofo mi perdoni il raffronto.
A fargli da battistrada nel Pci, al quale era già iscritto nei primi anni 70, regnante Breznev, fu il fratello Valerio. È il genio distorto di casa Veltroni che traghettò nel Pci una famiglia paciosamente dc, qual era papa Vitto­rio. Dal fratello maggiore, Walter ha ereditato il mito de­gli Usa e dei Kennedy. Vale­rio, a un certo punto, mollò il partito in cui aveva fatto stra­da e sulla cui scia si mise il cadetto. Così, senza voli, ma con la determinazione del tritasassi, Walter è diventato de­putato, ministro, sindaco. Ora è a capo del partito - sulla car­ta - più grande d'Italia. Dice che si accontenta e che - paro­la d'onore - mai farà lo sgam­betto a Prodi per sostituirlo a Palazzo Chigi. Ma state tran­quilli: punta solo a quello e il piano è già pronto. (il Giornale)

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