sabato 3 novembre 2007

Quando Prodi esultava per l'invasione romena. Maria Giovanna Maglie

La faccia dura di questi giorni che fa gridare i giornali amici un po’ senza pudore alla nuova era, alla forza di un uomo che è riuscito a smuovere perfino Amato e Prodi dai loro infiniti minuetti con comunisti e simili, si aggiunge alle mille facce di Zelig Veltroni, non in contraddizione con le altre che sono venute prima e a quelle che seguiranno, ma in armonia. La faccia giusta al momento giusto, cioè un momento dopo quello in cui ci sarebbe voluto un po’ di coraggio per dire «così non si va avanti», e battere il pugno sul tavolo. Per intenderci, un momento dopo il massacro di Giovanna Reggiani, un tale trauma che anche il sindaco di Roma ha compreso di avere mano libera per la sua nuova interpretazione. Se così non fosse, se fosse vero che il partito democratico ha trovato il suo Giancarlo Gentilini (il sindaco «sceriffo» di Treviso), ci sarebbe risposta alle seguenti domande basate sui fatti dell’ultimo anno.
Perché il feroce Veltroni non ha speso una parola nel dicembre del 2006 alla pericolosa decisione del suo governo di escludere qualsiasi moratoria nella libera circolazione dei cittadini romeni? Perché non ha mai chiesto l’applicazione, o almeno rivelato sdegnato ai suoi elettori che esiste una direttiva Ue, la 38/2004, che consente l’espulsione di cittadini comunitari che non abbiano un reddito adeguato? Perché non ha protestato quando il governo ha chiuso tre Cpt per l’identificazione dei clandestini (a Ragusa, a Brindisi e a Crotone), protestando che così agendo le espulsioni sarebbero diminuite e la capitale sarebbe stata inevitabilmente invasa? O quando hanno eliminato il visto d’ingresso per i soggiorni brevi, sostituendolo con una semplice autocertificazione, spiegando che se non conosci la persona che entra per tre mesi non sai nemmeno dove e come ritrovarlo se poi rimane? Perché hanno trasformato lo strumento civile dell’asilo in un lasciapassare per tutti? Queste domande avrebbe dovuto fare Walter Veltroni al governo, anche solo da sindaco, anche prima di diventare capo del Partito democratico, anche se non aveva i poteri. Invece ci ha storditi con cerimonie dove esibisce la faccia Zelig pacioccona e comunica che dialogo e accoglienza hanno reso Roma la città più vivibile d’Europa.
Io non so se Roma sia mai stata la città più vivibile, temo che i ghost writer si siano lasciati prendere la mano in quella occasione, ma certo è sempre stata un posto accogliente e indifferente, con poche regole rigide e un’aria da «scansate marziano che me impalli la camera», che funzionava anche con i nuovi arrivati da sud ed est. Non è più così, Roma è piena di spostati, di droga, nei quartieri non si dorme la notte. Roma è sporca e piena di baracche, nascoste praticamente ovunque. Qualche baraccopoli il sindaco l’ha fatta smantellare, a ritmo di telecamere e cronisti, e di «ciao Monica, ciao Gianni, avete visto che cosa importante che abbiamo fatto oggi, dolorosa ma necessaria», ma se poi nessuno si interessa di seguire il percorso degli sfollati, l’operazione è del tutto inutile.
Quando, al Lingotto, Veltroni è stato intronato, cioè nell’occasione migliore possibile in autorevolezza e visibilità, che ha detto? Il testo è prezioso, prontamente trasformato in libro da Rizzoli. Cito. «Chi viene qui per lavorare deve essere accolto a braccia aperte, ma chi viene per fare del male agli altri deve essere assicurato alla giustizia senza se e senza ma». «La sicurezza è un diritto fondamentale che non ha colore politico, non è di destra né di sinistra, e il governo deve fare di tutto per garantirla. Integrazione, multiculturalismo e sicurezza stanno insieme, e insieme cadono». Acqua fresca, quelle frasi meravigliose che, come ha spiegato in un’intervista recente a Panorama il numero 1 degli scrittori di Veltroni, «se non servono quella volta, le ricicli la prossima». Mercoledì pomeriggio, quando il massacro di Giovanna Reggiani gli è arrivato sul tavolo, Veltroni ha sentito il fiato della paura sul collo, non quello del bene comune. E ieri, in collegamento con la tv romena Pro Tv, è sbottato: «Dall’1 gennaio di quest’anno il flusso migratorio, non appena i romeni sono diventati cittadini europei, è diventato non più sopportabile per le città del nostro Paese e credo non solo per esse. C’è una prevalenza assoluta di reati compiuti da cittadini romeni. È un problema che insieme le autorità romene e quelle italiane devono saper affrontare». Sempre un momento dopo.
Non dico che ce ne siano molti altri migliori di lui, l’Italia è malata e ce lo ripetiamo fino alla nausea, ma per l’uomo del destino, faccia gentile o faccia feroce, c’è un giudizio spietato proprio dei suoi amici democratici americani. New York Times, inserto dei libri, Ingrid D. Rowland: «È triste constatare che la Roma del 2007 è un posto meno sicuro e meno piacevole da vivere (e visitare) di quanto lo fosse cinque o sei anni fa. Droghe e violenza sono adesso più evidenti che negli “anni di piombo” degli anni ’70 e ’80... Roma è ora nelle mani di un sindaco la cui vocazione è altrove. Volenteroso e pronto a dare spettacolo... Servirebbe a Roma un sindaco con la vocazione e l’umiltà di fare quanto non fa notizia ma è comunque essenziale: pavimentazione, sorveglianza, pulizie, riparazioni...». (il Giornale)

1 commento:

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good