sabato 17 novembre 2007

Siamo quasi tutti americani. il Foglio

Gli spettacolari successi della politica estera e militare di George W. Bush.

Una delle grandi favole raccontate in questi anni è che George W. Bush abbia compromesso i rapporti di alleanza, rispetto e solidarietà tra l’America e il resto del mondo. Abbiamo controllato e, a ieri, la situazione è un’altra: in medio oriente e nel mondo islamico ci sono due regimi terroristici in meno. La Libia ha smantellato i suoi programmi nucleari e il Pakistan si è trasformato, con le difficoltà evidenti in questi giorni, da principale sostenitore dei talebani in alleato nella guerra al terrorismo. Per restare in zona, l’India un tempo era un paese non allineato e sotto l’influenza sovietica. Oggi è partner affidabile degli Stati Uniti, al punto che Bush ha stipulato con la più popolosa democrazia del mondo un’alleanza nucleare. La Corea del nord, grazie alle pressioni di Washington sulla Cina, si è impegnato ad abbandonare i toni da apocalisse atomica. I rapporti con il Giappone non sono mai stati così solidi. Restano aperti i conflitti mediorientali – dai territori palestinesi, al Libano, all’Iraq, all’Iran – ma sono questioni che risalgono ai decenni precedenti a Bush e perlomeno adesso è in cantiere una strategia diversa da quella fallimentare che ha sedimentato l’odio antioccidentale e causato gli attacchi dell’11 settembre.
L’aspetto più interessante, però, è quello europeo. Si è scritto molto a proposito dell’arroganza bushiana che avrebbe diviso l’Europa. In realtà, fin dal primo momento, la maggioranza dei paesi europei si è schierata con Bush. Le eccezioni sono state Francia e Germania. Gli altri, compresi Italia e Spagna, hanno addirittura firmato un documento di sostegno alla politica di Bush, la famosa Lettera degli otto, seguito poi da un’analoga presa di posizione dei paesi dell’est europeo.
In questi anni di Bush alla Casa Bianca, la Nato si è allargata a est, fino a dialogare istituzionalmente con la Russia. Rivoluzioni pacifiche e filoamericane si sono svolte in un paio di ex Repubbliche sovietiche e la Turchia in occidente può contare principalmente sul sostegno della Casa Bianca. L’ostilità di Francia e Germania è sparita alla prima occasione in cui gli elettori sono stati chiamati alle urne. Jacques Chirac è in pensione e Gerhard Schröder fa il consulente petrolifero di Vladimir Putin. All’Eliseo c’è il politico francese più filoamericano dai tempi del marchese Lafayette, uno capace di nominare come ministro degli Esteri un radical-socialista che sulla guerra contro Saddam si oppose al semplice pacifismo e di ripetere che l’America è “la più grande nazione del mondo”. Il cancelliere tedesco Angela Merkel idem. A Downing Street, al posto del “cagnolino di Bush” Tony Blair, c’è un altro premier socialista che ricorda ogni cinque minuti di essere più filoamericano del suo predecessore. In controtendenza ci sono soltanto Spagna e Italia, ma solo a causa di una strage islamista e di uno scarto di voti dello 0,06 per cento. E malgrado ciò non si contano i bye-bye Condi e le suppliche di essere ricevuti alla Casa Bianca. In fondo siamo quasi tutti americani.

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